Delitti freddi. Dimenticati. Vuoti di verità. Sembrano romanzi e a volte lo sono.
Per la costruzione metodica, per i tempi giusti, per i flashback che si costruiscono tra gli anni e il sangue rappreso.
Ma non basta.
Perché ci vuole la storia.
E a raccontarla, questa storia, ci trasporta dentro un mondo ormai trapassato.
Di quando non si parlava ancora di femminicidio e, comunque, non con l’attenzione di oggi.
Non c’erano gli stranieri a quei tempi, non c’erano neppure i “cattivi” canonici: i tossici, quelli con problemi, capaci di uccidere per un buco. Eppure, questa storia di provincia dimenticata riaffiora dal freddo della morte.
Eravamo nel 1987. Internet non esisteva e girava, solo in qualche ufficio e in pochissime case, l’home computer dell’Olivetti: il modello M19, con il floppy disk grandissimo e il sistema MS-DOS 3.0.
Eppure le storie continuavano a camminare nelle strade della vita.
Si incrociavano e si spezzavano.
Come sempre.
Perché il delitto, in fondo ha questo di buono: è sempre figlio di un movente. Il problema è comprenderlo. A volte si arriva in tempo, altre volte dopo qualche mese o anno. Alcune volte quel movente non si svela tra le tracce della morte.
Forse il destino, forse gli investigatori che hanno giocato male le loro carte, forse l’assassino che ha, seppure inconsapevolmente, saputo disseminare indizi che riuscissero a depistare. Poi tutto tace. Il freddo che avvolge i corpi di chi è ucciso e l’anima di chi è rimasto. Perché un omicidio te lo porti dentro. per sempre. Così Stefano Binda, che oggi ha 48 anni e nel 1987 aveva appena 19 anni. Era amico di Lidia che di anni ne aveva 21.
Due ragazzi normali.
Normalissimi.
Entrambi boy scout, entrambi simpatizzanti di Comunione e Liberazione.
Si frequentavano. Stefano andava a casa di Lidia, ne conosceva i familiari.
Poteva scaturire tutto in una storia “normale”, fidanzamento e poi matrimonio. In fondo molte volte così succede: ci si innamora di chi ti è accanto da sempre e condivide le tue stesse passioni.
Il 5 gennaio 1987 accade però qualcosa. Lidia era uscita di casa la sera dicendo ai familiari “torno per cena”. Incontra qualcuno. Quel qualcuno è un suo amico. Lidia si fida. E’ il suo amico da sempre. Forse lui è innamorato e lei noi.
Forse.
Oppure lei ha paura, non vuole cominciare una storia con uno amante della poesia, un intimista.
Pare amasse Pavese e “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”. Il 5 gennaio 1987 Lidia sparisce, inghiottita nel nulla. La ritrovano, il giorno dopo, uccisa con 29 coltellate. L’assassino con furia ha colpito dappertutto: gola, collo, torace e gambe.
Lidia è stata inoltre violentata.
Mentre si cerca l’assassino, qualcuno scrive una poesia: “In morte di un’amica”. Tra quelle parole colpisce, soprattutto, una strofa laddove la vittima “piega il capo timoroso e docile, agnello sacrificale che nulla strepita, non un lamento”. Sono le parole di un poeta che, probabilmente ha assistito al delitto. Perché lui è l’assassino.
Eppure per ventinove anni tutto si dipana.
Non c’è movente.
Non ci sono riscontri.
Il poeta maledetto non si trova.
“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”.
Curioso che un verso così struggente possa essere la chiave per un delitto.
Ma a nessuno viene in mente.
Nel 2014 il giornale “Prealpina” pubblica quella poesia inviata, nel 1987, come lettera anonima alla famiglia di Lidia. Un’amica di Stefano Binda riconosce la calligrafia e avvisa gli investigatori. Avviene l’arresto e si scopre, a casa dell’imputato l’agenda di quell’anno, dove risultano strappate proprio quelle pagine inviate alla famiglia. Nella stessa agenda, nei giorni successivi annotava: “Distrutto tutto. Giuro.”
Delitti freddi. Dimenticati.
Che riaffiorano insieme al movente.
Lui, italiano per bene, boy scout, ciellino, ironico, amante della poesia, spaziava da Pavese a Baudelaire. Uno di quei ragazzi che tutte le mamme farebbero entrare nelle proprie abitazioni. Eppure è stato lui, molto probabilmente, ad uccidere Lidia. Adesso ci sarebbero le prove. Si troverà anche il movente. Si proverà a comprendere, a setacciare una vita che, dopo quell’omicidio, sembra essere stata risucchiata nella droga e nel rimorso. Sembra un romanzo che poteva avere un’altra fine. Sembra anche molto diverso da altri.
Ci sono quelli che si scandalizzano perché ci si è fidati di uno sconosciuto ed era chiaro che quella persona avrebbe commesso qualcosa di immensamente cattivo. Come se non sapessimo che la maggior parte dei delitti avvengono tra le mura domestiche con persone conosciutissime e fidate. Come in questo caso.
Delitti freddi.
Piccoli romanzi dentro le nostre stanze di vita quotidiana.