La parola “underdog” tradotta in questi giorni come “perdente”, “sfigato” o, come ha ricordato Giorgia Meloni “sfavorito” la sentii per la prima volta quando si parlava di detenuti nel contesto dei penitenziari americani. In quel caso quella parola assumeva un significato terribile: rivolta ai detenuti significava letteralmente “sotto i cani”. Mi spiegarono, in una visita istituzionale nel Regno Unito che da loro era assolutamente vietato utilizzare questo termine per indicare i detenuti ma, aggiunse quasi sottovoce il funzionario britannico, rende terribilmente l’idea. Mi ha dunque colpito sentire questa parola all’interno del discorso ufficiale della Presidente del Consiglio, utilizzata peraltro come auto citazione e rimandata alla sua storia personale di tosta che ha dovuto lavorare non poco per raggiungere l’apice del potere mentre tutti, negli anni, la consideravano una “sfavorita”. Come essere una squadra di serie C e vincere al Bernabeu con i Real Madrid. Difficile ma non impossibile. Si può battere il real e si può diventare Presidente del Consiglio della Repubblica Italiana. Però quel termine “underdog” mi gironzola da ieri perché conosco il disprezzo con il quale è utilizzato per i detenuti e stride moltissimo nella personale lavagna degli aggettivi. Non so ma “sotto i cani” riesce a dare l’idea di come siano considerati i detenuti nella carceri statunitensi. Direte: perché da noi? Partendo dall’articolo 27 della Costituzione (giusto per restare in tema) in Italia si scommette sullo “sfavorito”, lo si dve fare. Non è semplice: la chiamiamo rieducazione e, a quanto pare questo governo vorrebbe aumentare il numero delle forze di polizie e non quelle educative nelle carceri. La prego, Onorevole Meloni non permetta che la locuzione “underdog” sia utilizzata per i detenuti italiani. Non se lo meritano. Non mi piace quel “sotto i cani”, non mi è mai piaciuto. Scommetta sugli educatori, i mediatori, gli assistenti sociali, scommetta sugli sfavoriti. La sorprenderanno.