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Una storia bastarda

Una storia bastarda

Vi racconto una brutta storia, perfida, cattiva. Storia bastarda e sbagliata che si conclude il 24 novembre del 2009 a Milano, quella città così vicino all’Europa che sa essere anche l’ultima delle città possibili.
Vi racconto questa storia perché i destini a volte si incrociano nei marciapiedi della vita e non lasciano nessuna possibilità, nessuna fuga per un momento di tranquillità.
Vi racconto questa storia perché merita un ricordo e perché merita uno spazio nella memoria di un paese che celebra sempre gli stessi grandi eroi. 
Lea Garofalo era nata a Petilla Policastro, nel 1974 in provincia di Crotone. Venne uccisa all’età di 35 anni a Milano, dove qualcuno pensa che la ndrangheta non sia ancora arrivata.
Lea apparteneva ad una famiglia dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti dove uno dei “boss” della famiglia, Floriano, viene arrestato nel 1996 e nove anni dopo è assassinato a Petilla Policastro, nel suo paese d’origine. Lea, a quei tempi, era una giovanissima ragazza calabrese e il suo compagno era Carlo Cosco, altro elemento devastante nella sua brevissima e bastarda vita. Dall’unione nasce una bambina ma le strade tra Lea e Carlo si dividono anche perché tra le loro famiglie non corre buon sangue. Anzi, è in atto una vera e propria faida. Ad uccidere Floriano, il fratello di Lea, è Giuseppe Cosco, conosciuto come “Totonno u lupu” fratello di Carlo.
Chi racconta questa verità ai giudici? E’ Lea a farlo.
Parla anche del luogo del delitto e dell’attività di spaccio di sostanze stupefacenti che svolgeva la famiglia Cosco, compreso Carlo, suo ex compagno e padre della figlia Denise.
Immaginate questa scena, già complicata in qualsiasi luogo della terra e trasportatela in Calabria, in provincia di Crotone. Capirete perché diventa una storia bastarda. Lea, a seguito delle dichiarazioni, è ammessa al programma di protezione e viene trasferita a Campobasso. Può iniziare una nuova storia, può cominciare a vivere e non solo a sopravvivere. Ma non dietro una realtà bastarda. Che è bastarda non solo per definizione ma anche perché ci si mette lo Stato a complicarla e a renderla quasi incredibile. Nel 2006 Lea è estromessa dal programma perché, a detta di qualche giudice, il suo apporto non era stato significativo ed era risultata una collaboratrice non attendibile.
Lea, a questo punto ha paura, non sa come trovare una soluzione a quello che cominciava a concretizzare come un incubo: abbandonata dallo Stato in mano alla ndrangheta. Ma ha la forza di ribellarsi a quelle parole si rivolge prima al Tar che le dà torto e successivamente al Consiglio di Stato che, invece, le dà ragione.
Nel dicembre del 2007 viene riammessa al programma di protezione e può ripartire l’orologio della vita. Che incredibilmente si ferma nell’aprile del 2009. Si ferma perché accade una cosa incredibile, inverosimile, di quelle cose che accadono solo nei romanzi, di quelle soluzioni bastarde e impossibili da concepire: Lea rinuncia volontariamente alla tutela e, seppure continui a vivere a Campobasso, ricomincia ad avere rapporti con il suo paese d’origine. Ma non basta: decide di riallacciare i rapporti con Carlo Cosco, suo ex compagno, il padre di sua figlia, uno dei mandanti della morte di suo fratello.
Forse l’amore, la speranza, la voglia di poter ripartire sui vecchi binari, quelli da sempre conosciuti. Chissà cosa porta Lea verso questa incredibile scelta. Forse la voglia di poter dimostrare che denunciare un assassino fosse, in un paese normale, una cosa giusta. Ma non aveva capito che questo non era un paese normale e sul concetto di giustizia la ndrangheta la pensa molto diversamente.
Carlo Cosco comincia a vivere tra Milano e Campobasso riallacciando, di fatto, il rapporto di coppia in una casa dove Lea e Denise trascorrono il tempo in attesa degli eventi.
Questa è una storia bastarda anche per i dettagli e tra Lea e Claudio si mette in mezzo una lavatrice. L’elettrodomestico dell’abitazione di Lea è guasto e Carlo conosce questo particolare e dice a Lea che si sarebbe occupato di chiamare un tecnico. E il tecnico, il 5 maggio del 2009, si presenta sulla porta della casa di Lea. Ma Sabatino non è un idraulico, solo un killer che deve uccidere Lea per conto del suo compagno. La donna riesce a sfuggire all’agguato e informa subito i carabinieri ipotizzano il coinvolgimento dell’ex compagno. Le indagini non portano a nulla di concreto e navigano tra gli scaffali degli uffici dove nessuno ha intenzione di capire bene questa storia.
Probabilmente Lea si rende conto di aver sbagliato, si rende conto che la giustizia della malavita ha contorni terribili e non contempla nessun pentimento, nessuna possibilità di riscatto. Lea si rende conto che questa è una storia sbagliata, bastarda e tremenda. Ma è troppo tardi.
Carlo la chiama, le chiede di raggiungerlo a Milano: Forse voleva spiegare alcuni passaggi, forse racconta della sua estraneità al tentato omicidio, forse vuole cambiare.
Troppi forse.
Carlo spiega che è cambiato, che ha riflettuto, che lei rimane sempre la madre di sua figlia e le figlie non dovrebbero mai diventare orfane.
Forse.
Lea arriva a Milano con la figlia il 20 novembre del 2009. I due parlano, si raccontano, Carlo sembra essere disponibile.
Forse.
Magari era lei che vede i fantasmi da tutte le parti, magari c’è tempo per buttare dentro un pozzo questa storia bastarda. Magari.
Forse. Chissà.
Nessuna certezza nella strada di Lea. Tutto ruota intorno a supposizioni, a piccoli sussulti. La sua vita è come sospesa.
Il 24 novembre del 2009 Carlo la contatta e le chiede di uscire con lui. Vuole parlare del futuro di sua figlia.
Forse.
La bambina in quel momento non è con Lea. Carlo ne approfitta e le chiede di seguirlo in un appartamento. Lea ci va perché pensa che è ora di qualche certezza, perché ritiene che la storia bastarda sia ormai alle spalle. Non è così. In quell’appartamento si trova Vito Cosco, il fratello di Carlo.
In quell’appartamento, il 24 novembre 2009, Lea viene uccisa. Ma essere bastardi comporta fare sempre qualcosa di cui doversene vergognare davvero: il cadavere di Lea viene portato via dall’appartamento da altre tre persone e dato alle fiamme a San Fruttuoso, in un quartiere di Monza. Alle porte di Milano. I bastardi aspettano ore, sino a quando il corpo non viene definitivamente distrutto.
Senza forse, senza chissà, senza magari. Definitivamente.
E’ così che lavora la ndrangeta, la mafia, la camorra, la sacra corona unita. Eliminare coloro i quali sono ritenuti nemici in maniera “definitiva”: una bomba, lo scioglimento nell’acido, il fuoco. Bisogna mantenere una cattiveria solidissima per costruire certe storie come quella di Lea che però, solo dopo la morte riesce ad avere giustizia. Ed è Denise a prendere il testimone del coraggio di Lea.
E’ Denise, sua figlia, che al processo decide di testimoniare contro suo padre.
Carlo Cosco, insieme a suo fratello e agli altri complici vengono condannati all’ergastolo, condanne divenute definitive con la sentenza della Corte di Cassazione del 18 dicembre 2014.
Lea è ricordata ogni anno il 21 marzo nella giornata della Memoria e dell’Impegno organizzata da Libera, l’associazione voluta da Don Ciotti contro le mafie.
Vi ho raccontato una brutta storia, perfida, cattiva, bastarda. Serviva a guardare dentro il buio ottuso di questo paese, serviva e serve per comprendere alcuni passaggi, serviva e serve per diffidare sempre dei vari forse, chissà, magari.
Lea ha vissuto una vita sospesa e Denise, sua figlia, è riuscita ad intraprendere una strada diversa.
Meno bastarda e più consapevole.

07:42 , 24 Novembre 2022 Commenti disabilitati su Una storia bastarda