Mi era rimasto impresso lo slogan che lanciava il nuovo quotidiano: “Dal 14 Gennaio o credi a loro o credi a La Repubblica”.
Ma non mi aveva convinto. Almeno non del tutto. D’altronde avevo solo quasi diciassette anni e quello “strano” giornale mi appariva come un prodotto per la “media borghesia”, come si diceva a quei tempi o, al massimo, qualcosa per benpensanti radical-chic.
Però se ne parlava.
C’erano Scalfari, Giampaolo Pansa, Giorgio Bocca, solo per citare alcuni nomi che scrivevano anche per il settimanale L’Espresso.
Non avevo bisogno di un nuovo quotidiano.
Per una serie di motivi piuttosto semplici: non avrei avuto i soldi per acquistarlo (costava, credo 90 Lire) e, soprattutto, a quei tempi leggevo Lotta Continua. Il 1976 era un anno che si sarebbe rivelato complesso che si apriva con l’arresto di Renato Curcio e Nadia Mantovani (solo quattro giorni dopo la prima uscita in edicola di Repubblica), ci sarebbe stato il colpo di stato fascista in Argentina, le elezioni del 20 giugno avrebbero dato la vittoria alla democrazia cristiana al 38% ma con un PCI al 34,5%. Io speravo di andare a parco Lambro per la festa del proletariato giovanile con alcuni amici e, soprattutto, con Lisetta. Invece niente.
Frequentavo il terzo anno delle scuole superiori e il mio preside era un socialista dalle idee aperte.
Ci permetteva un’assemblea generale al mese, la possibilità di volantinare ma non accettava che lo si facesse all’interno dell’istituto. Pena la sospensione per “zincu dì”. Il preside era un sassarese simpatico ma, in ogni caso, ferreo e risoluto su alcuni principi. Andavamo d’accordo. Sapeva che io e altri ragazzi eravamo, come si diceva a quei tempi “impegnati politicamente” e, di tanto in tanto, ci chiamava nel suo ufficio per ricordarci che prima o poi avremmo cambiato opinione. “Vedrete”, ci diceva “vi ritroverò alla mia destra anche se siete partiti oltre la sinistra”. Io, chiaramente rispondevo che mai e poi mai avrei cambiato idea: l’esuberanza giovanile era sicuramente un punto a mio favore.
Ero terribilmente innamorato delle mie idee e di Lisetta.
Il 14 gennaio il Preside mi chiamò. Andai in presidenza aspettandomi la solita ramanzina. Invece, quando mi vide, si alzò dalla sua scrivania e mi consegnò un quotidiano. “Leggilo, questo sarà il tuo quotidiano, quando crescerai e, lentamente, cambierai idea”. Era una copia de “La Repubblica” che, appunto, esordiva nelle edicole quel giorno.
Aveva un formato piccolo, inusuale, pochissima pubblicità, dei caratteri innovativi e il titolo sull’incarico ad Aldo Moro. C’era lo strillo in prima pagina su un documento segreto dell’antimafia e un’inchiesta di Giorgio Bocca sulla fabbrica Innocenti.
“Non leggo i giornali dei padroni”, dissi subito.
Il Preside sorrise: “Puoi tenerlo. Vedrai, è un quotidiano che andrà lontano, qui dentro troverai giornalisti che sanno scrivere”. Non risposi ma presi il giornale e me lo portai in classe.
Lo nascosi tra alcuni libri che legavo con una fibbia elastica (non c’erano, ai miei tempi, gli zainetti) e tornai a casa. Quel giornale cominciai a leggerlo e compresi, da subito, che era diverso dagli altri. Notai una certa “curiosità” nel presentare e analizzare la notizia. Capii che quelle pagine sarebbero servite a farmi crescere. L’ho acquistato quasi sempre, da quel giorno. Per anni è stato il mio punto di riferimento. Ho avuto diversi ripensamenti, mi sono arrabbiato, mi sono disilluso, l’ho anche odiato.
Ho attraversato l’innamoramento e l’amore e anche il disamore. Ma l’ho sempre acquistato.
Insomma, Repubblica è il mio giornale da 40 anni. Insieme a tanti altri, chiaramente. Non condividevo e non condivido molti articoli e alcune cose oggi le ritengo illeggibili.
Ma sono cresciuto con le sue notizie, con il suo modo di vedere il mondo, con la sua curiosità nell’affrontare certi argomenti. I primi tempi La Repubblica nelle edicole arrivava alle 10.00, con il primo volo da Roma, poi venne stampata a Sassari e riuscivo ad acquistarla prima dell’imbarco per l’Asinara.
Era il mio primo impatto con il mondo.
Oggi la leggo prestissimo, sull’ipad e ho abbandonato il formato cartaceo. In quarant’anni sono cambiate molte cose: io ho 57 anni, Repubblica si è evoluta su alcune cose ed involuta su altre.
Lotta Continua non c’è più ma io continuo ad avere pensieri di sinistra e Lisetta non la vedo da una vita.
Però, ripensandoci devo ringraziare il mio preside: scommise novanta lire sui miei diciassette anni e mi regalò un’opportunità perchè Repubblica, come i giovani di allora, a quei tempi aveva una visione.
20:39 , 14 Gennaio 2016
Commenti disabilitati su Repubblica ha 40 anni.