Ci appassioniamo sempre agli strani delitti, quelle storie contorte, quelle cronache che non riescono, da sole, a regalarci una verità.
Sono storie di un’Italia provinciale, storie a volte peccaminose, a volte solo legate a strane incomprensioni.
Il delitto, in fondo, affascina.
Ci interessa sapere perché l’assassino ha deciso di sferrare la coltellata o perché ha deciso, all’ultimo momento, di strozzare la sua vittima e ci interessa, soprattutto, perché la vittima non si è difesa e perché è diventata, suo malgrado, vittima. Ci sono delitti insoluti e solo pochissimi incomprensibili.
Tra questi, sicuramente l’omicidio di Marta Russo avvenuto il 13 maggio del 1997 è da annoverare tra quelli assolutamente poco chiari.
La ragazza fu ferita da un colpo di pistola e morì quattro giorni dopo all’ospedale. In un clima davvero incandescente, il 20 aprile 1998 cominciava, a Roma, quello che sarebbe divenuto un omicidio mai chiarito. Qualcuno parlò di delitto perfetto, di uno studioso di filosofia del diritto che intendeva dimostrare l’impunità.
I due imputati Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro si presentarono sul banco degli imputati professando di essere innocenti.
Scattone venne successivamente condannato per omicidio colposo e Ferraro per favoreggiamento personale. Rimane il grande dubbio su questo strano omicidio che sostò per molti mesi nei salotti buoni della televisione, contribuendo a mostrare il delitto come elemento dello spettacolo.
Occorre essere sempre molto attenti in un campo difficile e doloroso come questo dove le vittime e i loro parenti rischiano di essere stritolati. A volte, il silenzio sarebbe la soluzione migliore.
17:24 , 20 Aprile 2016
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