Tutte le stelle di Paolo Palumbo (La Nuova Sardegna, 19/5/2019)
Storie come quella di Paolo Palumbo e di suo fratello Rosario andrebbero raccontate nelle scuole e molti scrittori sarebbero felici di averle inventate. Paolo è un giovane cuoco. Giovanissimo. A diciannove anni scopre di essere affetto da SLA, quella malattia che divora il corpo, i movimenti, ma non la dignità. Decide di coltivare il suo sogno: quello di diventare uno chef. Le stelle, in questo caso, sono del suo universo e del suo grande coraggio. Vuole regalare a tutti l’amore per il gusto e vuole riscoprire tutti i sapori che lo incollano alla vita.
Paolo è un ragazzo caparbio, forte, deciso e riesce a raggiungere il suo sogno. Sa che presto, troppo presto purtroppo, non potrà più maneggiare padelle, mestoli e fornelli. Presto, troppo presto purtroppo, dovrà combattere con sondini e pappette omogeneizzate perché i malati di SLA non riescono più a mangiare in modo naturale. Non possono sgranocchiare una noce, mordere una mela, assaporare i ravioli, le melanzane alla parmigiana, la zuppa gallurese, il porcetto. Bisogna avere una forza decisamente enorme per superare questi disastri. Bisogna essere caparbi.
Paolo inventa “il gusto della vita”, altra grande idea per questo romanzo bellissimo. Il grande cuoco con molte stelle nelle tasche delle opportunità, ritiene sia importante per i malati di SLA riassaporare quei sapori fuggiti e pensa di utilizzare un tampone che a contatto con le papille gustative sprigiona il sapore dei cibi tipici, dai ravioli alla crema catalana. Si tratta di una sperimentazione ottenuta attraverso dei processi chimici e di cucina molecolare. Solo per la restituzione di questa passione Paolo meriterebbe tutto l’amore del mondo. Ma non basta. La malattia avanza e qui arriva Rosario, il fratello, che diviene il suo grande scudiero. Sempre vicino, sempre pronto a capire i movimenti e i pensieri di Paolo. La SLA è una bestia maledetta e cammina, scortica i muscoli, atrofizza gli arti, ruba le parole e i movimenti ma non le passioni, i pensieri e la voglia di restare dentro questo universo pasticciato e pieno di opportunità. Paolo è il più giovane malato di SLA d’Europa e quella malattia cammina inesorabile. C’è la possibilità, attraverso un protocollo molto costoso attuato in Israele, di combattere quella bestia divoratrice ma servono soldi, molti soldi. Quasi un milione.
Rosario e Paolo, come nelle favole più belle, si guardano negli occhi e decidono che questa storia della malattia mica può finire in questo modo. Cominciano una campagna sul web, ricevono attestati di stima e quasi centomila euro. Non bastano, certo. Ma questo è un mondo che scommette sulle favole, tutti sono convinti che il tentativo può riuscire. Paolo ha 21 anni e comincia a scrivere sulla pagina di facebook tutti i giorni. È ormai immobile sul letto e Rosario è il suo fedele scudiero.
Poi, accade qualcosa. Come nelle favole arrivano gli orchi e giungono dai luoghi più infimi, vomitano una rabbia inaudita, gratuita, stupida e inutile. Si scopre che ci sono delle chat private in cui gruppi di persone (e chiamarle persone mi costa moltissimo) si divertono ad insultare Paolo, lo chef con centinaia di stelle negli occhi e la speranza di raccontare la bellezza della vita.
Scrivono queste frasi: “E’ inutile che ti dai da fare, tanto in Israele non ci arrivi”; “tanto muori come morirà mio padre”.
Si vuole sabotare l’opportunità per un uomo di sopravvivere. Si vuole distruggere il sogno di un ragazzo di 21 anni. Lo so, non ci sono parole e, davvero, è difficile trovarne.
Paolo l’ho conosciuto a Oristano, venne con il padre e il fratello Rosario alla presentazione del mio libro “Gli ultimi sognano a colori”.
Davanti a tutta questa cattiveria, a questa follia indicibile, mando un grande abbraccio a Paolo. I suoi sogni non sono a colori perché spero – e lo speriamo tutti – diventino realtà.
Quel libro, scritto insieme a Padre Salvatore Morittu, parlava di Gerusalemme dove Paolo si recherà per combattere la bestia.
Vincerai. Lo sento. Gli altri, quelli che si augurano il contrario, hanno perso.
Per sempre.