Sono ritornati
Sono ritornati con le loro facce livide e il frasario da “cattivi”, da duri e puri. Sono tornati come se non fossero mai scomparsi, come brace che cova nella cenere della vergogna e della cattiveria gratuita. Sono tornati a insultare gli ultimi, i reietti, quelli che sono dalla parte sbagliata della vita, quelli che non possono più agire.
Sono ritornati con le frasi a sugellare le loro infamità, tra schiaffi e secchiate d’acqua. Sono ritornati perché il silenzio è ormai assordante e dire “l’avrei massacrato, compà, come tutti gli altri” è come correre in un deserto senza oasi. Nessuno ha commentato. Nessuno ha chiesto scusa. Nessuno ha nemmeno affermato che si tratta di “mele marce”, come se fosse tutto normale, tutto schedulato, tutto da mettere nel conto del “trattamento penitenziario” secondo i canoni dei macellai.
Sono ritornati a calpestare la giustizia e la divisa che indossano, a insultare la “patria” e la dignità di chi sta scontando – e giustamente – delle pene in carcere, ma non per questo deve essere pestato, insultato, sputato e denigrato. Sono ritornati perché l’aria è troppo ferma, stantia quasi, alla ricerca di una giustizia “fai da te”, sponsorizzata, purtroppo, anche da certe teste politiche. Hanno lanciato acqua mista a urina e già questo spiega il basso livello dei loro gesti.
Non c’è una formazione adeguata, non c’è il senso dello Stato, ma non c’è – ed è questo che manca – la condanna ferma e risoluta dei loro colleghi, dei sindacati di polizia che dicano con forza, con decisione: “Basta. Noi non ci riconosciamo in queste parole e in questi gesti. Questa non è la polizia penitenziaria. Non deve esserlo. Mai.”
Aspetto, con malcelata calma, che questo finalmente avvenga, che con gesti veri, da uomini di Stato, ci sia una condanna per questo ritorno all’orrore, alla vergogna. Aspetto. Perché credo negli uomini. Spero di non sbagliarmi.