
Saviano e il “sardo pensiero”
Leggendo molti commenti sull’intervento dello scrittore Roberto Saviano, si giunge a una curiosa conclusione: a parlare della Sardegna devono essere esclusivamente i sardi e, in ogni caso, non se ne deve parlare male. I sardi sono forti, tosti, unici, orgogliosi, bravi, eroici, inattaccabili. Nessuno può permettersi di dire il contrario.
Secondo questo “sardo-pensiero”, in Sardegna non esiste criminalità e non è affatto certo che la banda che ha assaltato il furgone portavalori a Livorno fosse composta da sardi. Alcuni interventi hanno persino analizzato la lingua usata dai rapinatori, sostenendo che non corrispondesse a nessun dialetto di Desulo o di Sassari. Tutti esperti, tutti glottologi, tutti antropologi, tutti pronti a dileggiare un intellettuale e uno dei più profondi conoscitori della criminalità organizzata.
Eppure, nei suoi oltre venti minuti di intervento, Roberto Saviano ha fatto una disamina completa, un’analisi approfondita di quanto avvenuto in Toscana. Di quei 22 minuti, ovviamente, gli esperti dei social hanno estrapolato poche frasi e hanno deciso che Saviano fosse colpevole di aver criminalizzato tutta la Sardegna, terra di bellezza e amore. Del resto, è una moda ricorrente estrapolare frasi da articoli e libri per poi decontestualizzarle. Nel gioco dei virgolettati ci cadono un po’ tutti, anche coloro che, in realtà, dovrebbero conoscere una vecchia regola insegnata fin dalle elementari: un testo va sempre letto per intero e contestualizzato nel suo momento storico.
Roberto Saviano ha parlato di banditi molto organizzati che, dai filmati, risultavano avere un forte accento sardo. Il commando, composto forse da cinque o più uomini, ha assaltato con freddezza il blindato, sparando al vetro per spaventare i vigilantes che, per paura di finire bruciati (dato che i banditi avevano cosparso tutto di benzina), sono scesi dal mezzo. I rapinatori hanno poi incendiato tutto, inclusi i loro stessi mezzi, e si sono dileguati.
A questo punto, la disamina di Roberto Saviano propone un’analisi interessante: “I sardi producono criminali ma non mafia, perché le organizzazioni sarde mal sopportano la gerarchia costante”. A sostegno di questa tesi, aggiunge un particolare legato ai sequestri di persona: “per rapire qualcuno si costituisce un gruppo che, una volta concluso il sequestro, si scioglie. Qualcuno continuerà a effettuare sequestri, ma mai con le stesse persone”. Chi ha studiato la fenomenologia dei sequestri di persona in Sardegna sa che Saviano sta dicendo una cosa assolutamente vera. Il paragone è calzante: i criminali sardi accettano una gerarchia operativa ma non l’egemonia di un “capo”.
Saviano evidenzia poi un fattore di non poco conto: i soldi della rapina, oltre quattro milioni di euro, saranno presto riciclati nel narcotraffico, dove frutteranno oltre dodici milioni. La cocaina si venderà, in estate, soprattutto in Costa Smeralda. Siamo nel campo delle ipotesi e Roberto Saviano lo sa bene: non si tratta di accuse, ma di constatazioni. Con la lucidità intellettuale che lo contraddistingue, unisce semplicemente i puntini. E quei puntini raccontano una realtà che dovremmo iniziare a prendere in considerazione: i sardi non sono sequestratori e non sono criminali, ma alcuni sardi hanno partecipato a sequestri di persona e altri hanno commesso rapine.
Infine, ci sono stati molti commenti positivi su questa rapina. Anche in questo caso, Roberto Saviano aiuta a comprendere il fenomeno: si trattava di soldi delle pensioni, ma erano assicurati, e tutti i pensionati riceveranno comunque il loro denaro. Ecco perché si costruisce quasi un mantello etico intorno a persone che, invece, sono semplici criminali. E a dirlo, beninteso, sono i carabinieri che, per primi, avevano parlato, dopo alcuni arresti di “banda dei desulesi” che insieme ad altre persone anche del sassarese sfruttavano degli agganci con esponenti delle criminalità campana. Questa è, purtroppo, la realtà. Le difese sulla sardità sono, davvero, fuori luogo.