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Nuove carceri? Non è la soluzione. E Giorgia lo sa.

Nuove carceri? Non è la soluzione. E Giorgia lo sa.

La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni quando le chiedono di affrontare la  situazione delle carceri italiane, l’aumento esponenziale dei suicidi, l’annoso problema del sovraffollamento risponde in maniera spedita che la soluzione non è il condono o l’eliminazione dei reati, come è stato effettuato nel passato, ma creare nuove prigioni. Tutti son felici della risposta, giornalisti compresi, e la cosa finisce lì. Nessuno se ne occupa più se non al prossimo suicidio o alla piccola rivolta causata da un  sovraffollamento. Nessuno, tra i giornalisti, che ponga la seconda domanda: “Quante carceri avete deciso di costruire? E quando partirete con questo interessante e avveniristico progetto?”. La risposta, a questo punto, sarebbe molto più articolata e meno semplice.
Un carcere necessita di uno studio architettonico particolare e deve essere dotato di precisi sistemi di sicurezza. Ci vogliono anni. Se i primi cantieri si dovessero aprire domani, la consegna avverrebbe intorno al 2034. E la costruzione ha un costo elevato. Occorre dunque che la Presidente del Consiglio ci spieghi anche dove va a trovare tutti quei soldi, visto che abbiamo un sovraffollamento “importante” con circa diecimila posti oltre la capienza consentita e, dunque, posto che si decida di costruire un carcere che contenga non più di 500 persone,  i nuovi istituti dovrebbero essere almeno venti.  Ma anche riducendo a dieci istituti con la presenza di 1000 detenuti (con conseguente gestione complessa e multi problematica per un numero così elevato di persone recluse) i costi sono più o meno  gli stessi. Appare più semplice la costruzione del   ponte di Messina. Poi, una volta ultimati,  occorre pensare allo start up delle strutture: uomini e mezzi che già oggi sono insufficienti soprattutto per quanto riguarda l’area educativa e direttiva. Insomma: affermare che per risolvere il problema delle carceri è necessario costruire altre carceri è una soluzione demagogica che non corrisponde alla realtà. Direte: e allora? Cosa può fare la nostra Presidente del Consiglio?
Questa è una domanda interessante alla quale non intendo sottrarmi e provo a suggerire qualche soluzione.
Più che un condono (sono d’accordo con Giorgia Meloni che non risolverebbe il problema) occupiamoci dei benefici e delle misure alternative al carcere e proviamo ad ampliare quelle. L’articolo 27 della Costituzione parla di “pene” e non di carcere e anche l’affidamento in prova al servizio sociale, la semilibertà, la liberazione anticipata contribuiscono a far scontare al reo “la pena”.
Utilizzare questi strumenti significa modificare la visione “cancerizzante” che aleggia in questo paese dove il “buttare la chiave” vale per l’omicidio ma anche per il furto semplice. Ci sono, in carcere, circa seimila detenuti che devono scontare un residuo di pena inferiore ai quattro anni e che ristretti nei penitenziari ad oziare non producono nessuna utilità sociale né a loro e neppure alla comunità che dovrebbe, invece, essere felice di “scarcerare” persone in grado di impegnarsi in un progetto di reinserimento utile all’abbattimento della recidiva. C’è poi un altro strumento interessante e utilizzabile in maniera diversa da come è stato applicato negli ultimi anni: la liberazione anticipata, ovvero i 90 giorni di pena in meno all’anno per chi in carcere mantiene una condotta regolare e partecipa al trattamento.
Ebbene, se dovessimo ampliare il periodo da “scontare” per quelli che davvero lo meritano (e non, quindi, un condono generalizzato e ingiusto) almeno tremila persone potrebbero uscire subito dal carcere. Non è semplice: quelle tremila persone potrebbero essere portate a delinquere ma, in realtà,  stiamo scommettendo su chi ha vissuto in un certo modo la pena durante la reclusione e se ci fossero dei corridoi sociali legati ad un impiego in percorsi lavorativi di pubblica utilità il loro rientro in comunità sarebbe sicuramente più propositivo.  Tutto questo ha uno costo, obiettereste voi. Certo: più basso della costruzione di ipotetiche nuove carceri. Potremmo  non essere d’accordo e allora dovremmo ritornare alla prima domanda: come fare per risolvere il problema del sovraffollamento? E non si può rispondere con “costruire altre carceri” perché sarebbe come lasciare la questione irrisolta per dieci anni.
Il dibattito potrebbe essere interessante. Ma non si farà. Perché in realtà, il carcere non interessa a nessuno. I detenuti definitivi non votano,  anche se sono cittadini di questo paese e l’argomento non ha un appeal sui social.
Meglio buttare la chiave e far finta di non capire.

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