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L'università della vita (La Nuova Sardegna)

L’università della vita (La Nuova Sardegna)

Un tempo, per farsi rispettare in società, bastava dire di aver studiato a Oxford o alla Normale di Pisa. Poi, con l’avvento della trasparenza e dell’ossessione per i titoli, è stato necessario trovare alternative creative. E così è nata l’“università della vita”, un ateneo senza mura né rettori, in cui si laureano tutti quelli che vantano esperienze vissute, rigorosamente senza esami.

L’idea ha avuto successo. “Io ho studiato all’università della vita” è diventata una dichiarazione d’orgoglio, una forma di resistenza intellettuale contro i professoroni e la burocrazia. Poi, però, qualcuno ha pensato che, in fondo, un pezzo di carta servisse ancora. E così è iniziato il turismo accademico: Albania, Spagna, Malta, Cipro.

Una vecchia canzone di Paolo Pietrangeli rimarcava che, in fondo, anche l’operaio voleva il figlio dottore e, pur di raggiungere quella meta, si era disposti a tutto.

L’attualità ha riportato l’attenzione su questo tema attraverso il caso della ministra del Lavoro, Marina Elvira Calderone, il cui titolo di laurea è stato oggetto di un’inchiesta giornalistica. Le criticità emerse riguardano il possibile ricorso a un iter accelerato e la presunta irregolarità di alcune date d’esame, incluse sessioni svolte in giorni festivi. Sebbene la ministra abbia affermato la piena legittimità del proprio percorso, il dibattito non si esaurisce nella mera verifica formale della validità del titolo, ma investe una questione più ampia, di natura etica e istituzionale.

Quando qualcuno le ha fatto notare che le date di alcuni esami corrispondevano alla domenica, ovvero giorno in cui le università sono chiuse, ha risposto che lei era una “studentessa lavoratrice” e che questa categoria gode, da sempre, di attenzioni da parte degli atenei.

Pur non entrando nel merito di alcuni passaggi (una serie di esami sostenuti nello stesso giorno, per esempio), molti rettori interpellati hanno dichiarato che, per quanto si possa agevolare lo studente lavoratore, in ogni caso gli appelli degli esami sono fissati sempre in giorni feriali e il lavoratore ha diritto ad assentarsi con un permesso retribuito.

La ministra Calderone, però, oltre a essere lavoratrice, era nello stesso tempo studentessa e insegnante, sempre nella stessa università e, a quanto pare, nello stesso periodo. Un cortocircuito davvero difficile da districare e, ovviamente, dichiarare di essere stata attaccata per screditare l’azione di governo appare quantomeno improprio.

Ora, nessuno mette in dubbio la validità formale del titolo. La questione non è giuridica, ma etica: chi riveste incarichi governativi non solo deve operare  nel rispetto della legalità, ma è necessario che adotti anche comportamenti che rafforzino la fiducia nelle istituzioni. L’ottenimento di un titolo accademico attraverso modalità percepite come anomale può minare tale fiducia, indipendentemente dalla legittimità giuridica del percorso seguito. La credibilità di un sistema si fonda, infatti, sulla coerenza tra norme e prassi, e qualsiasi discrepanza tra queste due dimensioni rischia di compromettere l’autorevolezza delle istituzioni.

In una società fondata sulla conoscenza e sulla competenza, il riconoscimento dei titoli di studio non può essere lasciato all’ambiguità. Qualsiasi deviazione dal principio di trasparenza nella formazione accademica non è solo una questione individuale, ma incide sulla credibilità dell’intero sistema educativo e amministrativo. Resta sempre valida  l’alternativa dell’“università della vita”, che non chiede attestati e non ha orari.

E soprattutto, non ha sessioni straordinarie.