L’orco e la mafia – La Nuova Sardegna 8.3.2017
Bisogna avere il coraggio di raccontarle le storie degli orchi, quelle che pasticciano la vita delle persone sino a renderla inutile, quelli che come sensibilità sono vicino alle pietre, nessun segnale di vita e di pietà, nessun accenno alla razza umana. Eppure, gli orchi, vivono fra noi. Si alimentano con noi e sopravvivono grazie ai nostri silenzi. La storia parte da lontano ed è una storia terribilmente italiana, figlia di un sud silente ed endemicamente pauperistico, figlia di silenzi e di paure. Salvatore è un bambino di sette anni quando, insieme ad altri bambini, viene a contatto con gli orchi. Si trova a scuola e all’interno dell’edificio entrano questi figuri travestiti da uomini e abusano di Salvatore e dei suoi amichetti: violenze gratuite, atroci. Li costringono a bere alcolici, li minacciano con le siringhe dell’insulina se solo decidessero di raccontare ai genitori degli abusi e delle angherie che quotidianamente subiscono. Salvatore non ci riesce. Vive in un quartiere difficile di Torre Annunziata, un centro dell’hinterland vesuviano, un quartiere di camorra che costò la vita al grande giornalista Giancarlo Siani il quale, da solo, ebbe il coraggio di condurre delle inchieste contro un clan potentissimo di quelle parti. Salvatore non conosce Giancarlo ma capisce che non può continuare a subire l’affronto degli orchi. E parla. Dice di quelle cose “cattive” alla madre. Una donna con una grandissima dignità. Siamo nel 1995, nel quartiere dei poverelli e si capisce dal titolo che questa è una storia con le radici intrise nella pietra, si capisce che questa è una storia complessa, difficile. Una storia sbagliata. Fin dal suo inizio. Sono quindici gli orchi travestiti da uomini che entravano in quella scuola elementare ad abusare di bambini di prima e seconda elementare. Matilde Sorrentino si mette in tasca il silenzio che contraddistingueva quel quartiere da sempre e si reca dalla Polizia. Denuncia lo scempio, la vergogna, denuncia le violenze e gli abusi perpetrati nei confronti di Salvatore e di altri bambini. Denuncia in terra di camorra dove la mamma è sacra, ma solo la madre dei camorristi, la Madonna è venerata, ma solo per gioco e dove le parole contano davvero poco. A parlare, da quelle parti, è il rumore sordo delle pistola. Così finisce la storia di Matilde che va ad aprire alla porta convinta che quel suono di campanello corrisponda all’arrivo del figlio Salvatore. È, invece, l’incontro con il buio estremo. Gli orchi scodellano altro odio, lacerano le vite e le coscienze e uccidono brutalmente quella madre che aveva tentato di restituire una vita normale al figlio. Nel 1997 vengono arrestati e condannati i presunti responsabili della mattanza nei confronti dei bambini ma due di essi vengono scarcerati per decorrenza termini della custodia cautelare. Qui accade qualcosa che va anche oltre la sensibilità delle pietre: gli orchi vengono uccisi dai loro stessi simili in una sorta di cannibalismo utile a cucire la verità per sempre. Parliamo di questa storia perché è di questi giorni la notizia che lo Stato risarcisce Salvatore per le atrocità subite in quel periodo: 800 mila euro assegnati dalla corte di Appello di Napoli che, in realtà, condanna il Ministero dell’Istruzione che doveva vigilare sui bambini affidati alla scuola. Salvatore ha oggi 30 anni. Anche suo padre è morto a seguito di un infarto e lui vive lontano da quei luoghi perché, a suo tempo, fu assegnato ad un programma di protezione. Gli hanno lacerato l’infanzia e non solo. Bisogna avere il coraggio di raccontarle le storie degli orchi e chiedersi: ma quanti meritano l’assoluzione? E quanto siamo coinvolti dentro questa maledetta storia?
La nuova Sardegna, 8 marzo 2017