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Lo strano caso del carcere italiano in Albania (La Nuova Sardegna, 7 giugno 2024)

Lo strano caso del carcere italiano in Albania (La Nuova Sardegna, 7 giugno 2024)

La polemica che negli ultimi giorni ha turbato gli animi, concernente la costruzione di centri d’accoglienza in Albania per opera del governo italiano, non accenna a placarsi. L’operazione denominata “Albania”, oltre a essere intrinsecamente a rischio di incostituzionalità, cela nelle sue pieghe un progetto minuto ma ignoto ai mass-media e, naturalmente, al popolo italiano: l’edificazione di una struttura penitenziaria in un paese extra-comunitario. Tale iniziativa trova il suo fondamento nel protocollo siglato tra il governo della Repubblica Italiana e quello Albanese, ratificato con la Legge del 21 febbraio 2014 n. 16. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, tramite una circolare del 9 aprile 2024, ha sollecitato espressamente dirigenti, funzionari e personale del corpo di Polizia Penitenziaria a rendersi disponibili per far parte di un contingente destinato alla gestione della struttura, sita nel territorio di Gjader e progettata per ospitare 20 detenuti di sesso maschile. Il piccolo carcere, retto da un Dirigente Penitenziario, si avvarrà di altre 45 unità. La diaria giornaliera per il contingente oscilla tra i 176 euro per i dirigenti e i 130 euro per il restante personale.

E qui ci si imbatte in una domanda che pare non essere stata posta, se non da pochi: è realmente pensabile istituire un carcere italiano all’estero, per di più in un territorio al di fuori della giurisdizione europea? E quanto ci costa questa operazione? Si potrebbe aggiungere un’altra questione: non siamo forse da anni in perenne emergenza per la carenza di unità di polizia penitenziaria nelle carceri italiane?

Anche volendo attribuire un senso giuridico e sociale a questa operazione, emerge in maniera lampante l’assenza di tale senso, poiché, solo per rimanere sul tema dei diritti fondamentali alla difesa e al giusto processo, sanciti rispettivamente dagli articoli 24 e 111 della Costituzione, i soggetti stranieri che commettessero un reato all’interno dei centri italiani in Albania non avrebbero la possibilità di trovare e confrontarsi con un difensore di fiducia. Inoltre, qualora finissero detenuti nella struttura penitenziaria (e non è chiaro quale giudice firmerebbe l’ordine di custodia cautelare in carcere), si troverebbero in un luogo dove non sarebbero garantiti alcuni diritti sacrosanti per un detenuto recluso in un carcere italiano: visite da parte dei familiari, colloqui telefonici, diritto alla difesa, colloquio con il magistrato di sorveglianza, educatori, psicologi, mediatori culturali, ministri di culto. Di fatto, in attesa di un giudizio in un tribunale “fantasma”, l’imputato detenuto nel carcere italiano d’Albania vivrebbe come i reclusi del XIX secolo: cella e vigilanza da parte di poliziotti. Più che poveri cristi, diverrebbero uomini senza alcun diritto se non quello di poter respirare.

L’operazione è priva di ogni logica giuridica, ha un costo di oltre tre milioni di euro annui e il trattamento riservato a persone imputate (e dunque innocenti sino al terzo grado di giudizio) rasenta quello riservato a Ilaria Salis: carcere e afflizione. Si ritorna al “sorvegliare e punire” di Foucault, a una disumanizzazione della pena, a una concezione esclusivamente custodialistica senza tener conto di quanto recita, invece, l’articolo 27 della Costituzione, laddove si afferma che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Con l’operazione carcere in Albania, si rischia di vanificare l’intero terzo comma dell’articolo, e ciò non è cosa da poco. Il progetto è di una gravità inaudita e il fatto che sia passato inosservato è ancora più allarmante. Nessun faro mediatico si è acceso su questa scelta contro la Costituzione e contro l’Ordinamento Penitenziario.

Esiste, a dire il vero, una pregiudiziale presentata alla Camera dei Deputati il 23 gennaio 2024 (numero 231), nella quale si solleva chiaramente la questione di costituzionalità, firmata dai deputati Magi, Della Vedova, Faraone, Zaratti, Boschi e Gruppioni, ma ciò non ha comportato l’arresto del progetto governativo. Occorre, a giudizio di molti, un generale ripensamento su quella che rischia di essere una grave lesione alla democrazia e ai diritti dei detenuti, i quali, pur non votando, sono portatori di diritti, e noi, cittadini italiani, abbiamo il sacrosanto diritto di pretendere che tali diritti siano rispettati. Sempre e comunque.