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Le regole.

Le regole.

Mi viene da sorridere a pensare a Denis Verdini che non conosce le regole della detenzione domiciliare e a causa della violazione delle prescrizioni è ritornato in carcere.
Sorrido perché è lo stesso “modus operandi” di molti detenuti che ho conosciuto e che quando non rispettavano le varie prescrizioni dei benefici ottenuti rispondevano magnificamente e sfacciatamente: “non credevo di fare qualcosa di male”.
Già, le regole, queste sconosciute. Infrangerle può costare caro: se ti fermi in doppia fila rischi una multa, se corri troppo ti possono ritirare la patente, se commetti un crac finanziario avrai una condanna penale e se quando sei fuori dal carcere e te ne vai tranquillo in ristorante o rientri tardi,  rischi che quel beneficio ti venga sospeso così come ha fatto – direi giustamente – il tribunale di Sorveglianza di Firenze che ha deciso di rimandare – come nel gioco dell’oca – Denis Verdini in prigione,  nonostante fosse passato più volte dal via. I difensori presenteranno subito altra istanza di detenzione domiciliare in quanto le condizioni di salute sono incompatibili con la detenzione e si tireranno un’altra volta i dadi per ripotare a casa il buon Verdini.
Le regole. Alcune sono ferree: non puoi frequentare pregiudicati, non puoi andare a manifestazioni o in luoghi troppo frequentati, non puoi rientrare a casa quando vuoi e, ovviamente, non puoi commettere ulteriori reati. Quando si firma il provvedimento al detenuto le regole vengono ricordate e gli viene consegnato un foglio dove tutto è scritto e ben illustrato. Eppure, quando si rientra da un permesso premio e arriva la notizia che il beneficiario è stato pizzicato in discoteca, in ristorante, ad un matrimonio subito la risposta è: “non si può neppure andare ad un matrimonio”.
Le regole. Che Verdini non conosce. Poteva recarsi in ristorante? Dal dentista? Certo che poteva farlo, doveva chiedere l’autorizzazione che sicuramente gli sarebbe stata concessa. Ma avrebbe dovuto scrivere, firmare, inviare, aspettare. Troppo per uno come lui.
Le regole. Il vecchio concetto populista e falso garantista: suvvia, ho parcheggiato in seconda fila, ho solo bevuto un bicchiere in più, sono rientrato un’ora dopo. Che c’è di male? Le regole servono per comprendere una cosa molto semplice: esistono perché una comunità le ha discusse e ha deciso che tutti devono seguirle. Verdini sorride e tira dritto. Lui vive nel mondo dell’anomia. Ma l’assenza della legge, della regola o dell’ordine in uno stato di diritto non è contemplata.
Così è finito in prigione dopo essere passato molte volte dal via. A riflettere sull’importanza del rispetto delle regole e a confrontarsi con quelli che hanno i cassetti pieni di “non credevo di fare qualcosa di male”.

A margine: il titolo del quotidiano Libero è eloquente: “Accanimento della Procura”. Come se applicare la legge fosse un accanimento nei confronti di chi la legge dimentica addirittura di leggerla.