Le mani stese.
Dunque le mani tese. E’ questo il male assoluto, la goccia di Caino che arrovella il campo della politica. Tutti in attesa di una sentenza che, per italianità e senso del cerchiobottismo è perfetta: si può ma a certe condizioni. Non si può ma non esageriamo. E noi, sulla sponda del fiume ad attendere il verbo di chi è al di sopra di tutto ci siamo soffermati sulle feritoie delle parole. Ci siamo subito divisi tra cosa sia una ricorrenza e cosa, invece, una provocazione. Come se fossimo agli albori di una nascente democrazia che non ha ancora raggiunto la maturità.
Le mani tese sono un punto di discussione, certo. Ma non l’unico punto.
Non possiamo, davvero, continuare a raccontarci sul divano ormai logoro di troppe sconfitte che i lor signori debbano dichiararsi antifascisti e smetterla con alzare la mano per ricordare Mussolini.
Ho assistito con finta allegria alla bellissima performance di Andrea Pennacchi che incarnava un gerarca fascista (ma lo faceva per ridere, beninteso). Diceva una cosa fondamentale: questi di dichiararsi antifascisti non ci pensano proprio. La cosa più buffa è che se lo facessero, se smettessero di fare il saluto, di presentarsi come virili e tosti, di colpo non ci sarebbe più nulla da dire.
Dunque le mani tese. E dopo?
Dire qualcosa di sinistra, forse, di questi tempi, non basta più.