Le curve di Gaudi e l’università di Alghero (la Nuova Sardegna, 4/3/2015)
Articolo apparso sul quotidiano “la Nuova Sardegna” (4 marzo 2015)
Quelle curve, gettate quasi per caso verso il cielo, erano diventate il suo incubo felice, la soglia paradossale della creatività. Avrebbe voluto rincorrerle per comprenderne il senso e per impararne la sinuosità. Lui, che nella vita aveva sempre percorso solo vie diritte e veloci. Poi quei sorrisi facili, quella falsa felicità, si trasformò in un vortice di scelte errate. Sino a finire in carcere dove tutto era terribilmente diritto, grigio, senza nessuna fantasia. Lui conosceva benissimo come si maneggiava una pistola, come si lavorava con un coltello, come si disegnavano traiettorie mortali. Lui aveva sparato. Aveva vent’anni e poca consapevolezza del senso della2 vita. Così, con le sue giovani ossa, fu sbattuto in una cella di un carcere fuori dal centro di una grande città, in un altrove sconosciuto, lontano da qualsiasi cielo. Scoprì, quasi per caso, un libro di fotografie. Lo prese in prestito dalla biblioteca del carcere. Gli piacque subito perché in copertina vi era un edificio coloratissimo e incredibilmente storto. Pensò alla sua vita, alla pistola, agli anni di galera. E cominciò a sfogliare quel libro. Finì per innamorarsi di Gaudì e della Sagrada Familia, quelle curve verso il cielo, quell’apparente disarmonica forma che diventava non solo opera d’arte, ma riusciva ad essere sublime, irripetibile. Un’opera ancora non conclusa, un po’ come la sua vita. Cominciò a richiedere tutti i libri su Gaudì e scopri che in carcere era possibile studiare. Si diplomò in cinque anni e cominciò a riflettere sul futuro prossimo. Un giorno lesse un interpello appeso nella bacheca della sezione e subito compilò la richiesta di trasferimento. Nel carcere di Alghero, in Sardegna, era possibile non solo iscriversi all’università, ma sopratutto alla facoltà di Architettura. Ritornò Gaudì dentro i suoi occhi e i pensieri erano costellati dalle visioni oniriche di coccodrilli colorati e di curve lente e inesorabili che si sarebbero arrampicate verso il cielo. “Tutti hanno diritto alla propria cattedrale” diceva spesso durante l’ora d’aria e i suoi compagni lo guardavano con un certo distacco. Studiare troppo in carcere non fa bene, pensavano. Lui però non si scomponeva e a tutti rispondeva: «Vedrete, riuscirò un giorno a costruire la mia cattedrale».
Giunse il giorno del trasferimento. Tra le poche cose che si portò vi furono tutti i libri acquistati sull’architetto catalano e tutti i disegni preparatori della sua cattedrale. Aveva le idee chiare, lui. Una scala ellittica ma non troppo, pareti senza spigoli e con molte venature, spazi ampi e senza porte. Aveva disegnato, per anni, l’esatto contrario di un carcere.
Lui, oggi, è is2critto al secondo anno di architettura. Ha imparato molte cose e ha compreso che non basta un bel disegno per costruire qualcosa di bello e di solido, funzionale e che duri nel tempo. Ha scoperto però che, a volte, i disegni e le speranze vengono cancellate, con un colpo di “cimosa” da leggi e decreti incomprensibili e che su certe cose lui è assolutamente impotente. Non è potuto andare a Cagliari e manifestare con i propri colleghi. Lui è rimasto in cella ad attendere. Era fiducioso, è da anni che cammina con le tasche gonfie di buone speranze. Non poteva credere che un Presidente della Regione peraltro docente universitario, potesse cancellare il suo sogno e quello di tantissimi studenti iscritti alla facoltà di Architettura di Alghero.
Lui era portato per il disegno e non per la scrittura. Ha deciso, così, di inviare, in busta chiusa uno strano disegno al Presidente della Regione Pigliaru, aggiungendovi poche parole: «Ho sempre raccolto molte pietre nella mia vita. Molte le ho lanciate, altre le ho usate male. Questo ammasso di pietre che ho disegnato su questo foglio servono per la mia cattedrale. Mi aiuti a costruire un sogno.» Lui, con il suo mucchietto di sassi, aspetta di poter dimostrare che anche le curve della vita possono essere rivolte al cielo.