L’amore ai tempi della galera (La Nuova Sardegna, 11 novembre 2015)
(editoriale apparso sulla Nuova Sardegna, 10 novembre 2015)
Nel 1983, nei miei primi giorni di lavoro, m’imbattei in un problema enorme e difficile da risolvere. Un detenuto, uno spagnolo presunto trafficante di stupefacenti, era stato arrestato a Olbia, con la sua compagna italiana. Entrambi erano finiti a Tempio, alla Rotonda. La donna stette male, tanto che fu trasportata d’urgenza all’ospedale, ma non ci fu, purtroppo, nulla da fare. Il detenuto chiese ripetutamente un permesso per poterla vedere per l’ultima volta, ma non essendo il marito non gli fu accolto. Chiese, allora, di poter acquistare un mazzo di fiori da posare sulla bara. Neppure quello. Quando mi vide mi chiese se gentilmente potessi almeno portare una rosa al funerale “Bianca, mi raccomando”. Quella rosa l’acquistai e lo dissi successivamente al detenuto: “Grazie, è un gesto immenso. Anche chi è in carcere sa amare e quella donna non c’entrava niente con le mie colpe”. Sono passati molti anni dal giorno della rosa, è stata approvata, nel 1986 la legge Gozzini, quella che ha permesso a moltissimi detenuti di poter ottenere dei permessi premio per poter riallacciare i propri affetti, rivedere i propri figli, riannodare molti fili spezzati e fragili. Ma non basta. Ci sono molti detenuti che, a causa di una legislatura molto complicata, non possono ottenere i permessi premio e per anni dovranno stare all’interno del carcere. Gli è stato negato, di fatto, il diritto all’affettività. La proposta di Legge n. 1762 presentata alla camera dei Deputati il 4 novembre 2015 dagli Onorevoli Zan, Farina, Pellegrino ed altri, prova a ripartire da un punto fondamentale e semplicissimo: dagli affetti. E’, per così dire, la risposta della rosa bianca, la possibilità di non far ricadere le colpe del detenuto anche sui familiari, sulla moglie, la compagna, i genitori, i figli. La proposta di legge chiede che “i detenuti abbiano diritto, una volta al mese ad una visita della durata minima di sei ore e massima di ventiquattro ore con le persone autorizzate ai colloqui Le visite si svolgono in locali adibiti o realizzati a tale scopo, senza controlli visivi e audiovisivi”. Sono bastate queste poche parole per far gridare moltissime persone allo scandalo; persone che, beninteso, erano molto silenti quando qualcuno si divertiva a pagare escort, forse minorenni, per soddisfare le proprie esigenze sessuali. Insomma continuiamo ad essere un paese molto provinciale. Da altre parti, in Europa, gli incontri con i detenuti e i familiari sono considerati “normali”, servono soprattutto per rasserenare il clima all’interno dei penitenziari. Una politica dell’inclusione deve partire dagli affetti, rimettendo al centro la famiglia in senso lato e laico. Recentemente il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha aperto un nuovo fronte: la possibilità per gli stranieri di poter salutare e parlare con i loro cari attraverso Skype e la possibilità, per alcuni detenuti di media sicurezza di accedere, con le dovute limitazioni ad Internet. E’ una strada che attraversa molti vicoli ma è l’unica percorribile. Non possiamo banalizzare l’amore, l’abbraccio di un bambino, il sorriso di una madre, un bacio, una carezza un’effusione. Non possiamo pensare che due corpi nudi che si amano possano essere “sporchi”. Non possiamo, dunque, escludere questa bellezza dal processo rieducativo di chi in carcere ci deve stare per espiare i propri errori, ma non possiamo pretendere che le mogli, le compagni, i figli debbano anch’essi essere privati di un momento di grande dignità. Il processo legislativo immagino sarà lungo. Capisco anche che in Parlamento ci siano anche altre priorità. Però, se dovessimo dimenticare questa proposta di legge, se si dovesse perdere questa opportunità, sappiate che è stata negata una rosa bianca, non al detenuto, ma a chi quella rosa se l’aspettava. Un gesto semplice che può far maturare questo paese. Riflettiamoci.