L’agonia di una città (La Nuova Sardegna, 6 maggio 2017)
Lo si capisce da come cammina che il suo è il peso specifico del dolore. Della rabbia forse. E dell’impotenza. A guardarla come un grandangolo questa città diventa lo specchio di giorni tutti dispari: sgonfia, spettrale, intrisa di un silenzio quasi surreale. Una volta in queste strade correvano le voci delle donne, dei bambini; c’era quel chiasso creativo che produce la gente quando vive. Adesso ci sono solo colori sbiaditi, serrande abbassate, qualche cane, qualche ragazzo che cammina velocissimo, con circospezione. Una volta il centro della città era il luogo di incontro. Le nostre infanzie avevano tutte un nome per ritrovarci: L’Emiciclo, Piazza Azuni, Piazza Tola, la passeggiata per gli algheresi. Tutti nomi che sopravvivono solamente ai ricordi. Tutto terribilmente piatto. Se vogliamo possiamo prendere l’auto e recarci in uno dei grandi agglomerati tutto parcheggio e plastica: quei mercati che qualcuno ha chiamato impropriamente città ma che non hanno nessun suono, nessun odore, nessun ricordo. Sono monumenti grigi, falsamente colorati ma con un’anima vuota. In nessun centro commerciale si sente l’odore della cipolla, del prezzemolo, delle arance, delle melenzane. Non si sente l’odore della vita pasticciata e bellissima, propria di chi le città è abituato a viverle tutto il giorno. Dentro quei luoghi infiniti e tristi non c’è spazio per la parola, per un saluto, per una chiacchierata lunga e infinita che serviva ad essere persona tra persone. Ad essere mondo. Non ci sono più i negozi nelle nostre città e la colpa non è della zona a traffico limitato. Andate a Stoccolma o a Lisbona, solo per fare qualche esempio. I centri storici sono chiusi completamente al traffico e le auto sono sistemate all’interno di parcheggi. Ci avevano raccontato che Sassari aveva un grosso problema legato alla sosta delle auto. Negli anni sono stati costruiti tre parcheggi: in Piazza Emiciclo, piazza Fiume e presso il mercato civico. Potremmo benissimo lasciare l’auto velocemente ed in comodità all’interno di stalli coperti e sicuri. Ma non lo facciamo. Qualcuno osserva che i sassaresi erano abituati a parcheggiare davanti all’esercizio commerciale. Eppure parcheggiare in piazza Fiume ci permette di essere nel cuore della città e vicino a negozi e uffici. Dicono sia la crisi che ha divorato il commercio. Ma anche questa è una parte della verità. Il commercio si è spostato verso i centri commerciali che offrono la merce ad un prezzo indubbiamente più basso ma con una qualità ben definita e legata all’obsolescenza: quando scade la garanzia il prodotto smette di funzionare. Come il cuore del centro storico di Sassari dove, ormai, ci sono pochissimi negozi e qualche bar pieno di slot-machine. Lei osserva e non produce parole. Provo a dire che il problema è globale: anche l’Alitalia rischia di fallire. Ma so che non è d’accordo. L’Alitalia ha avuto negli anni molti aiuti dallo Stato. Si sono sperperati soldi pubblici per salvare il posto di lavoro. Vecchia storia basata sulla difesa della dignità delle persone. Ma ci sono lavoratori e famiglie da salvare a tutti i costi contro altre da abbandonare. Questo mi racconta senza parlare. Una volta c’erano i negozietti e gli apprendisti, i famosi “pizzinni d’andera” che imparavano in silenzio e con allegria un mestiere che poteva diventare il loro futuro. I lavoratori dei centri commerciali oggi sono costretti a lavorare tutti i giorni, anche quelli festivi con turni terribili, senza alcuna salvaguardia. Perché tutti vogliamo mangiare il pane caldo anche il giorno di Natale. Ma è precotto. È falso. È tutto terribilmente falso. Chi ha l’età di ricordare il profumo dei forni lo sa che tutto questo è un mondo di plastica, lontano dalla vita e dai ricordi. Chi ha l’età di guardarsi indietro lo sa che i colori, seppure sbiaditi, erano più veri. Anche lei lo sa e mi guarda sconsolata. Sassari ha il cuore sgonfio e serrande abbassate. I malati sono i suoi abitanti che hanno permesso la chiusura della città.