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La riforma penitenziaria che aspettiamo (La Nuova Sardegna, 24 marzo 2018)

La riforma penitenziaria che aspettiamo (La Nuova Sardegna, 24 marzo 2018)

Il prossimo governo che verrà non potrà modificare il decreto legislativo voluto fortemente dal Ministro della Giustizia Orlando sulla riforma dell’ordinamento penitenziario, semplicemente perché è una buona riforma e, semmai, incompiuta in molte parti. Il nuovo ordinamento nasce da una serie di tavoli tematici dove gli addetti ai lavori hanno provato ad armonizzare alcuni aspetti ormai obsoleti di una legge che era stata varata nel 1975 con il consenso di tutto il Parlamento, (escluso il Movimento sociale italiano) ma ormai figlia di quei tempi. Il concetto di pena si è evoluto nel corso dei secoli e l’umanizzazione è diventata il cardine su cui il sistema occidentale ha ragionato negli ultimi decenni, giungendo a puntare su una condanna che non era legata necessariamente al carcere ma che, più prosaicamente, provava a costruire dei passaggi all’esterno del penitenziario attraverso l’affidamento in prova al servizio sociale, la messa alla prova prima della celebrazione del processo e utilizzando due nuovi strumenti necessari per restituire dignità alla vittima e al condannato: la mediazione e la giustizia riparativa. La riforma del 2018 cammina su questi binari ritoccando (anche se in maniera non decisa e compiuta) altri istituti e non intervenendo su altri probabilmente per mancanza di coraggio. E’ stata armonizzata l’assistenza sanitaria che prevedeva già da alcuni anni la responsabilità diretta delle aziende sanitarie pubbliche superando, di fatto, quella medicina penitenziaria settoriale e lontana dalle varie richieste sul diritto alla salute. È stato introdotto il diritto sacrosanto di avere a disposizione una carta dei servizi rendendo i detenuti cittadini del paese. È stata modificata la composizione del consiglio di disciplina, richiesta a gran voce dagli stessi medici che poco tolleravano la loro presenza. Sono stati sostituiti con degli esperti esterni in criminologia e questa è una novità sostanziale che rende più chiaro il processo disciplinare gestito da questo momento dal Direttore, l’educatore e, appunto, l’esperto. In materia di trasferimenti dei detenuti è stata evidenziata l’importanza della famiglia e la possibilità che gli stessi possano trascorrere la pena in un luogo prossimo a quello di residenza cosa che, almeno in Sardegna, è assicurato quasi a tutti i detenuti. I sardi fuori dai confini dall’isola rappresentano solo il 2% dell’intera popolazione detenuta. Quello che ha fatto gridare allo scandalo è l’aumento del periodo di concessione per l’affidamento in prova al servizio sociale che passa dai tre a quattro anni. Una piccola rivoluzione priva di automatismi che non modifica gli assetti della sicurezza del paese e che obbliga i detenuti fruitori del beneficio ad un comportamento migliore e duraturo all’esterno dell’Istituto.  Trascorrere quattro anni all’esterno lavorando o studiando porta non a svuotare le carceri (l’impatto è davvero minimale) ma costringe, in senso propositivo, ad alzare l’asticella della scommessa nei confronti di un detenuto che ha commesso non un gravissimo reato e che può e deve avere la possibilità di essere incluso, fin da subito, nel contesto sociale. In tema di semilibertà è stato modificata la possibilità, per i semiliberi, di poter trascorrere la notte non solo in sezioni all’interno del carcere ma anche in edifici di civile abitazione. Non dobbiamo avere paura di queste nuove norme perché ci sono passaggi importanti deputati alla mediazione penale e alla giustizia riparativa; la scelta è stata quella di umanizzare la pena e renderla “utile”, costringere il condannato a ragionare sul proprio futuro potendo utilizzare diversi strumenti. Era necessario che nella cassetta degli attrezzi delle opportunità ci fosse una gamma di scelte più ampia. Chi lavora, chi studia, chi si occupa di progetti sociali mentre sconta una pena, arricchisce se stesso e contribuisce a migliorare il mondo degli altri. Ecco perché questa è una buona riforma, un buon punto di partenza che il prossimo governo, ne sono certo, non modificherà.