La ludopatia e la legge iprocrita (La Nuova Sardegna, 3 maggio 2017)
Bisogna essere particolarmente bravi per scrivere delle leggi comprensibili, ma occorre essere dei campioni di retorica per concepire passaggi inarrivabili per menti normali. Mi riferisco all’articolo 110 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza composto da 11 commi, infiniti sotto-commi e modificato nel corso degli anni da una trentina di decreti, leggi e leggine che hanno partorito un piccolo mostro. Parliamo delle macchinette installate nei bar chiamate “apparecchi idonei per il gioco lecito” ma che tutti conoscono come “slot-machine” e che producono una terribile dipendenza per chi ci gioca. Lo Stato, con velata ipocrisia, prova a raccontarci che cosa intende per gioco lecito e non potendo affermare che le slot-machine producono dipendenza, ci racconta che si considerano apparecchi leciti: “quelli che si attivano con l’introduzione di moneta metallica (..) nei quali insieme con l’elemento aleatorio sono presenti anche elementi di abilità, che consentono al giocatore la possibilità̀ di scegliere, all’avvio o nel corso della partita, la propria strategia, selezionando appositamente le opzioni di gara ritenute più favorevoli tra quelle proposte dal gioco, il costo della partita non supera 1 euro, la durata minima della partita è di quattro secondi e che distribuiscono vincite in denaro, ciascuna comunque di valore non superiore a 100 euro, erogate dalla macchina”. Il testo è una delle migliori forme retoriche per giustificare qualcosa che non ha nessuna giustificazione e serve solo ed esclusivamente per sciacquarsi la coscienza con acqua molto sporca. Il gioco è un’attività che possono svolgere tutti e tutti devono sottostare a delle regole. Il gioco è divertimento, strategia, furbizia anche, prova di forza e di sfida. Il legislatore intravvede nelle macchinette elementi di “abilità” che consentono al giocatore di scegliere una strategia. Ora, o siamo davanti ad un legislatore che sconosce il funzionamento della slot-machine o siamo – ed è più probabile – davanti ad una malafede conclamata che giustifica, comunque, il gioco il cui costo non supera 1 euro e il valore di vincita non deve essere superiore a 100 euro. Peccato che non dica quante partite si possano giocare e quando quel gioco diventa pericoloso. La coscienza è salva e gli introiti, a questo punto leciti, sono un buon affare per lo Stato. Sempre nello stesso articolo si ricorda che le vincite devono risultare non inferiori al 75% delle somme giocate. Un buon 25% finisce nelle casse dello Stato ad esclusione dei pagamenti relativi a chi affitta le macchinette e a chi le fa installare nei propri esercizi pubblici. Dubito che vi siano dei veri e propri controlli che certifichino il 75% delle vincite ma non è questo il punto. Il punto è legato ad un qualcosa che era nato come un gioco ma che è divenuto un inferno. Se ne sono resi conto gli amministratori del comune di Sassari che hanno varato un regolamento per la concessione di contributi al fine di contrastare la ludopatia. Il sindaco Sanna e la sua giunta si schierano a favore di una bonifica e di una vera e propria presa in carico – insieme al Serd – di un fenomeno che sta diventando davvero molto serio. Le finalità del regolamento comunale sono rivolte a contrastare la diffusione delle apparecchiature proponendo delle agevolazioni che consistono nell’erogazione di contributi a chi comunica di voler cessare di detenere le macchinette o si impegna a non installarle nei successivi tre anni. La finalità è chiara ed intende limitare la dipendenza da gioco su fasce di consumatori deboli. Il Comune si impegna ad erogare dei contributi che possono raggiungere l’importo massimo di 1.000 euro. La misura agevolativa ha durata di tre anni. Il problema è legato al passaggio culturale, al convincimento che si tratta di una piaga che attanaglia la città e che deve essere combattuta. L’indicazione del comune è positiva ma è solo un buon inizio. Il resto è tutto da costruire insieme. Facciamolo.