La favola dell’ultimo fanalista. Di Matteo Porru.
Recensione apparsa su “La Nuova Sardegna” il 4 maggio 2023.
In principio era il mare. L’acqua non invecchia, non scolora, non ricorda, ma confina. Gianfranco Massidda l’ha capito quando era bambino, e l’Asinara era un angolo verdissimo del mondo in cui la storia aveva già iniziato a passare. Poi a passare è stato il tempo, Gianfranco è diventato il fanalista dell’isola e le vicende più grandi di quel posto -che, più che un luogo, è un regno- le ha viste avvenire dall’alto, via mare e via terra. Come le onde, come la vita. C’è questo, e molto altro, nel nuovo romanzo di Giampaolo Cassitta “C’era una volta all’Asinara” (Fratelli Frilli Editore, pag. 400, euro 19.90), che già dal titolo vuole essere -e di fatto è- una grande favola umana, scritta scandendo, anno per anno, i tanti episodi e le vicissitudini avvenute nell’isola, dalle evasioni del carcere all’automatizzazione del faro -la narrazione è accompagnata da tante fotografie in bianco e nero, prese dell’archivio personale di Massidda-.
Cassitta, che è stato educatore carcerario all’Asinara fino alla chiusura dell’istituto, conosce il territorio molto bene, e si legge. Governa bene il rischio di cadere in un amarcord cercando una via di mezzo fra tono memoriale e cronaca narrativa, e lo trova. Riesce a rendere protagonisti anche le comparse arrivate sull’isola. Porta sulla scena la natura e la sua imponderabilità. E l’estremo isolamento, la lontananza, il progresso che cavalca le onde e rompe la magia dell’antico, del manuale. Viene evidenziato spesso il rapporto uomo natura, ma con un’indagine attenta alle assonanze di entrambi gli elementi.
Se, come ci insegna la tradizione greca, la favola deve insegnare sempre qualcosa, ogni pagina di “C’era una volta all’Asinara” riesce a ricordare a chi legge che la vita non è quello che accade, né quello che resta, ma come accade e come resta. Perché questa è, più di ogni altra cosa, una gigantesca opera di restituzione, un tributo su carta alla terra e all’uomo che l’ha amata di più -che oggi ha quasi novant’anni-. E al blu che non ha mai smesso di proteggerla e di custodirla.
E’ la bellissima recensione apparsa ieri sulla Nuova Sardegna a firma di quello che io definisco “piccolo principe”. Per le sue capacità di scrittura e per la sua spericolatezza nell’uso degli aerei.
Grazie per queste parole e grazie per la dolcezza. Ne abbiamo bisogno.
Davvero.