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la bellezza dei gesti.

la bellezza dei gesti.

Da sempre, fin da bambino, mi ha affascinato il rito della lavanda dei piedi. Un’antica cerimonia, carica di simbolismo, in cui il grande, il potente, colui che è più vicino al divino, si abbassa a un atto di umiltà, di servitù, definitivo. È un linguaggio semplice, quello del servizio senza bisogno di parole, ma attraverso il solo danzare delle mani si manifesta  l’importanza dell’altro, fosse anche l’ultimo tra gli sconosciuti, il più misero tra i miseri.

Papa Francesco, nel carcere di Rebibbia, ha lavato i piedi a delle donne detenute, e in quel gesto, il mio cuore ha ritrovato un battito in tempi di guerra, soprusi, malvagità. Un Papa su una sedia a rotelle, che si china verso chi ha sbagliato, sta scontando la propria pena, è un messaggio potente: anche Caino merita attenzione, anche a lui si possono lavare i piedi. Senza parole, senza convegni, senza promesse.

Quel gesto è il risultato di tutti i gesti che un uomo può costruire all’interno dell’intera vita. Non è compatire la diversità, ma accoglierla; è ascoltare il silenzio di chi è rimasto indietro, il fruscio di lacrime che solcano lentamente i volti delle donne detenute.

Papa Francesco ha lavato i piedi a quelle donne, ma in realtà, l’ha fatto per tutti noi. Nessuno escluso. Non occorrono rosari, né promesse di preghiere, né crocifissi nascosti nelle tasche o appesi nelle aule e nelle chiese. Nulla conta di fronte all’atto più nobile: ho avuto l’opportunità  di servire, di ascoltare, di comprendere il tuo dissenso, la tua ira, le tue paure. E come il pescatore della canzone di De André, non ho chiesto nulla in cambio. Ho solo spezzato il pane, chiuso gli occhi, e l’ho offerto a chi aveva fame e sete, senza curarmi se fosse stato un assassino.