In nome del popolo italiano? (La Nuova Sardegna, 20 aprile 2017)
Provate questo gioco: controllate dove è stato prodotto il vostro smartphone, le vostre scarpe alla moda, le calze, le camicie, probabilmente anche le cravatte, i jeans, alcuni abiti firmatissimi, le macchine fotografiche, televisori, forni a microonde, magliette, palloni, zaini. Provateci e vi renderete conto che il made in Italy rappresenta una cifra davvero minimale. Ma vi renderete conto che anche il made in Eu, ovvero il prodotto europeo, rappresenta una piccola quota.
Tutto è fortemente delocalizzato nei paesi dell’Est e, soprattutto, nell’area cinese e asiatica. Importiamo anche molte cose dal Brasile e dal Messico firmate da stilisti italiani. E siamo felici, orgogliosi che la nostra moda, i nostri brand siano apprezzati all’estero, ma non ci rendiamo conto che sono addirittura manufatti fuori dal mercato europeo. Non è una novità. E’ il mercato, bellezza.
Cose note e discusse da persone molto più informate e preparate di me. Infatti voglio parlare di un altro aspetto che però mi obbligava a questa premessa: c’è gente che in nome dell’antica purezza e dell’orgoglio nazionale chiede di boicottare i negozi stranieri e scrive dei manifesti davvero imbarazzanti.
In quei manifesti c’è tutta l’ignoranza, la protervia, la piccolezza, il razzismo insito e mai del tutto sopito di chi, davvero, pensa agli uomini in termini di “razza” e prova a utilizzare anche la parola popolo: “Aiuta il tuo popolo”. C’è da chiedersi dove queste persone abbiano vissuto in questi ultimi anni. Se per caso siano stati ibernati e non abbiano capito che il “popolo” è divenuto in un mondo totalmente globalizzato un’accezione completamente diversa da quelle che essi immaginano. Ma il cartello dice altro: “Boicotta i negozi stranieri. Sostieni le attività commerciali italiane del tuo quartiere.
E qui ho sorriso.
Il gruppo di “Azione frontale” – pare una sigla di ultradestra nata dalle costole di “Forza Nuova”- ha sistemato questi cartelli in un quartiere popolare e multietnico di Roma, variegato e ben disposto alle miscelazioni delle culture. Scrivere “il tuo popolo” in un luogo dove la popolazione è equamente divisa e stratificata in nazionalità diverse è davvero esilarante, ma pretendere di boicottare i negozi stranieri e sostenere solo le attività commerciali gestite da italiani è comunque azzardato per una serie di motivi: perché dovremmo farlo? Chi mi garantisce, per esempio, che l’italiano paga le tasse e non mi truffi? Chi può sostenere che la qualità di ciò che vende l’italiano è migliore di quella venduta in un altro negozio?
Il bellissimo film di Ettore Scola “Concorrenza sleale” racconta la storia di due commercianti romani ai tempi del fascismo. Uno di essi era ebreo. La lotta era quotidiana è basata sulla qualità della merce. Quando il fascismo promulga le leggi razziali e l’ebreo è costretto a chiudere il negozio, il suo collega romano si ribella perché ritiene che proprio quella legge sia concorrenza sleale.
Già, la sana concorrenza che oggi è legata solo al prezzo più basso e non importa dove e come è prodotta. Comprare “italiano” aiuta senz’altro l’economia del nostro paese che è però incardinato in un contesto europeo o mondiale.
Il problema di questi strani incantatori di serpenti vacilla davanti alla coerenza che non riescono, neppure per un attimo a mantenere.
Chi ha scritto il manifesto probabilmente ha una moto giapponese, stivali americani, sciarpe irlandesi e fuma sigarette di multinazionali statunitensi.
Una volta ricordo una discussione con un conoscente che si dichiarava indipendentista sardo convinto: mangiava hamburger e vestiva come uno sceriffo. Almeno il maialetto, per un minimo di coerenza, lo poteva prevedere nel suo strano menu.