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Il senso del  viaggio per i sardi (La Nuova Sardegna, 29 giugno 2017)

Il senso del viaggio per i sardi (La Nuova Sardegna, 29 giugno 2017)

Avevo tredici anni quando, per la prima volta, abbandonai la Sardegna. Fu per una vacanza bellissima e lunghissima – circa tre mesi – dove con la famiglia ci recammo in Belgio, in Olanda, nel Lazio e in Campania per trovare i nostri parenti emigrati da tempo.  Conobbi mondi diversi e sotto alcuni aspetti fantastici agli occhi di un ragazzino che aveva davanti solo Alghero come unico orizzonte. Quel viaggio lo facemmo in nave ed in treno e mi innamorai per sempre di questo modo poetico di viaggiare, quasi contemplativo. Appena diciottenne presi il mio primo volo per Roma quando l’aeroporto di Alghero era poco più di un hangar e l’aeroplano era solo cosa “da signori”. Ho utilizzato la nave centinaia di volte e i miei concorsi, tutti rigorosamente in continente, hanno sempre il ricordo della banchina di Civitavecchia e del bar con l’insegna dei quattro mori che ci accoglieva una volta scesi dalla nave. Viaggiai da studente in passaggio ponte, da lavoratore in poltrona e da vacanziere in cabina o, come si diceva un tempo, in cuccetta. Incontrai personaggi incredibili nelle cabine di seconda classe. Feci amicizia con qualcuno e con altri scambiai solo un tiepido buonanotte prima di tirare la tendina e dormire in mezzo al mare. I dipendenti della Tirrenia, tutti napoletani, erano mediamente maleducati e noi  in quel periodo non eravamo considerati “clienti” ma quasi esclusivamente merce da trasporto. Il treno, poi, da Termini partiva e arrivava sempre al binario 21, l’ultimo dei binari, così come oggi il treno per l’aeroporto. Non ho mai avuto la soddisfazione di arrivare a Termini al binario uno o due. La nave era quasi il nostro unico mezzo di trasporto (parlo del 1979) e, comunque, quello più vicino alle nostre tasche di studenti in cerca di lavoro. Non avendo i soldi per soggiornare a Roma facevo tappa dai miei zii ma, solitamente, arrivavo il giorno dell’esame che cominciava sempre intorno alle 9.00 e riuscivo a giungere in tempo e in anticipo su molti romani che accampavano la grande scusa del traffico, sempre caotico, anche nel 1979. La vita di un sardo è costellata dai viaggi e dalla puntualità. Non possiamo permetterci di perdere la nave o l’aereo perché salterebbe il nostro appuntamento al di la del mare. Lo abbiamo sempre messo nel conto. Negli anni le cose sono sicuramente migliorate: le navi sono simili a quelle delle crociere, le cabine sono più ampie, più comode; ci sono sale per giocare, per il cinema e c’è anche la piscina. Il personale appare più sorridente e non bussa più con i chiavistelli le porte delle cabine un’ora prima dello sbarco aggiungendo di malagrazia “siamo in porto”. Gli aerei sono molto più comodi e ci sono molte possibilità: l’Alitalia, da tempo, non è più l’unico vettore, così come la Tirrenia. C’è stata la libera concorrenza e, per i voli, il fenomeno low-cost con l’arrivo di Ryanair. La compagnia irlandese ci ha permesso di arrivare in molti punti d’Europa con un solo aereo e ci ha permesso anche di giungere a Roma all’aeroporto di Ciampino che è anche più comodo di quello di Fiumicino. Questa opportunità da Alghero è stata cancellata ed è un male. Sono scelte legate al business perché Ryanair ci considera clienti ma non intende fare assistenzialismo. Vecchio discorso. Il problema è però legato alla possibilità di poter viaggiare sempre, garantendo a tutti i sardi quella continuità che hanno tutti gli italiani e che, a quanto pare, non hanno i corsi e neppure gli abitanti delle isole Baleari. Si chiama insularità che, se da una parte rappresenta una ricchezza, dall’altra può rappresentare una difficoltà.  Le scelte strategiche effettuate nel corso degli anni in Sardegna non sono state proficue e non hanno tenuto conto che i sardi hanno il diritto a viaggiare per lavoro, per necessità e anche per divertimento. C’è stata una miopia politica e tutti hanno giocato la carta dell’ultimo momento, convinti che il last-minute avrebbe comunque premiato. Occorre assolutamente modificare la politica dei trasporti e per farlo occorre comprendere quali sono le regole –  soprattutto quelle europee –  e costruire soluzioni che tengano conto delle nostre esigenze. Non possiamo rispondere con delle provocazioni come quella di costituire una flotta sarda di proprietà della regione Sardegna. In un mondo complesso e fortemente globalizzato l’autarchia non sembra essere la soluzione migliore. Ci serve un approccio basato su una visione condivisa provando a fare cose diverse dal passato. Servono le voci e le intelligenze di tutti i sardi. Serve che si cominci a costruire, che di urlare non è più tempo.