Il vecchio canto delle sirene (La Nuova Sardegna, 11 ottobre 2015)
Articolo apparso sulla Nuova Sardegna di domenica 11 ottobre 2015
Dalla vicenda di Ignazio Marino, ormai ex sindaco di Roma, abbiamo imparato una lezione: la politica non cammina insieme alla società civile. Ma, soprattutto, siamo ormai abbagliati da chi ci indica ripetutamente il dito e non riusciamo più a capire che, invece, è alla luna che dobbiamo svolgere gli sguardi. L’operazione Marino parte probabilmente da lontano e si incunea nei corridoi bui di un gioco politico molto complesso e di difficile lettura da parte di chi, la maggioranza degli italiani, non ha gli strumenti adatti per comprendere cosa sia accaduto sotto gli occhi della lupa capitolina e del perché Marino sia stato considerato un sindaco marziano, ovvero qualcuno catapultato lì per caso senza conoscere bene la macchina amministrativa e politica di una città difficile come Roma. Probabile. Seguendo questo esempio potremmo pensare che anche il critico d’arte Giulio Carlo Argan, il quale governò Roma tra il 1976 e il 1979 inventandosi con l’assessore Nicolini l’estate romana, era poco adatto. In realtà, ad una lettura meno approssimativa va subito detto che la morte dell’ideologia ha scardinato molti tatticismi politici e, “più che la mafia”, come osserva Bruno Malfelotto sulle pagine di questo giornale, “poté la ricevuta”. Ed è questo il nuovo punto di partenza di una visione apparentemente minimalista della situazione che ha dato al “popolo”, attraverso strumenti sempre più sofisticati ed immediati, la parola per decapitare o assolvere. In democrazia dovrebbero esistere delle analisi sicuramente diverse dal semplice pollice “mi piace” cliccato sulla scia dell’emotività e non tutto si dovrebbe centrifugare nell’immediatezza degli attimi. Perché poi si rischia di colpevolizzare una persona e non il sistema. Io Roma la conosco abbastanza, ci vado da moltissimi anni per lavoro, amo la sua immensa bellezza, la straordinaria capacità di reinventarsi pur restando sempre la stessa, osservo con occhi sempre attenti i cambiamenti di una città che vuole dipingersi eterna. Negli anni l’ho vista incupirsi, chiudersi, l’ho sentita impaurita, sempre più quartiere e sempre meno metropoli. Si è sporcata, si è incattivita, si è dovuta difendere da troppi giochi di potere che una volta erano squisitamente politici e oggi, invece, sono soltanto di malaffare. Le sirene che strillavano alla fine degli anni ottanta ci consegnavano una Roma politica in preda al panico: erano gli anni delle brigate rosse. Negli anni novanta quelle sirene erano alla caccia di una malavita considerata da molti di “basso calibro”, gente che, invece, si stava spartendo la città. Infine, quelle sirene non si sono più sentite. Abbiamo assistito senza quasi battere ciglio alla scomparsa delle sirene un po’ come alla scomparsa delle lucciole di pasoliniana memoria. E, insieme alla scomparsa delle sirene che rappresentavano, comunque, un pezzo dello Stato, si disgregavano, con un rumoroso silenzio i valori che ruotavano intorno alla Chiesa, all’etica, alla famiglia. A Roma erano scomparse le sirene e nessuno ci aveva fatto caso. Non l’avevano capito Luigi Petroselli , Ugo Vetere e Nicola Signorello, Pietro Giubilo, sindaci negli anni che vanno dal 1979 al 1988 dove la famosa banda della Magliana si spartiva Roma, non l’avevano capito Franco Carraro e Francesco Rutelli che qualcosa stava cambiando; neppure Walter Veltroni e, buon ultimo, Gianni Alemanno avevano compreso che la mafia divorava Roma. Ignazio Marino, lui si, il marziano, ci ha fatto un pessima figura a non rendersi conto di quanto marcio c’era dentro quel comune. Però, a dire il vero, Marino, il marziano, aveva capito che il silenzio delle sirene era il preludio di qualcosa. Ha provato a scalfire i vecchi poteri. La politica non ha gradito. Marino non poteva cadere per “Mafia capitale” doveva, invece, cadere per le piccole cose che il cittadino vuole. E la politica ha costruito, attraverso una campagna mediatica, una tempesta perfetta. Però le sirene non suonano più. E nessuno se ne occupa.