Il sonno della ragione (su Charlie Hebdo) – La nuova sardegna 9/01/2015
Ci si indigna sempre davanti al pressappochismo e ai luoghi comuni. Lo abbiamo fatto per anni, noi sardi migranti in altre terre e anche sulla nostra isola. Ci siamo dovuti difendere dalle accuse assurde di essere “sequestratori di uomini”, da quegli sguardi gonfi di sufficienza di chi ci considerava lombrosianamente esseri portati alla grassazione e alla violenza. Eppure solo alcune centinaia di sardi si sono macchiati di quel delitto infame, dell’aver sequestrato e segregato per molti mesi delle persone per chiederne un riscatto. Un delitto odioso e ingiustificabile che ha segnato questa nostra terra in maniera indelebile. Lo stesso errore si rischia di effettuarlo con gli islamici quando, a sangue caldo, diciamo “sono tutti dei terroristi”. Sappiamo che non è vero e che, tra l’altro, sarebbe impossibile (sono qualche miliardo gli islamici nel mondo) ma questo, in questo momento, serve alla causa, al voler diversificare i popoli e, quindi, le razze. Dovremmo rabbrividire davanti al silenzio morale causato dall’indolenza di chi non intende occuparsi mai del contenuto ma solo ed esclusivamente della forma. Sentiamo sempre molto forte il dolore che sovrasta il nostro popolo e riteniamo intenso l’odore del nostro sangue. Ed è normale. Ma al netto dello sgomento non riusciamo mai, se non con molti sforzi, ad analizzare le azioni dal punto di vista storico e geopolitico. Oggi, il livello di accettazione della violenza si è drasticamente abbassato, direi giustamente e non si è più disposti a giustificare certi gesti che in un lontano passato potevano essere considerati quasi “normali”. Eppure davanti alle parole sdegnate, alle lacrime vere e sincere, davanti a chi grida “je suis Charlie”, davanti al mostruoso attacco alla libertà di stampa e di espressione non riusciamo a discernere tra le ragioni storiche e quelle dei sentimenti. Tutti, insomma, hanno un motivo per giustificare i propri gesti anche i più cattivi, anche i più abominevoli, quelli inenarrabili. Come possiamo non urlare e sdegnarci davanti al colpo di grazia che il terrorista infligge al povero poliziotto ferito e inerme su quel marciapiede di una Parigi infinitamente vuota? Ritornano altre immagini, quelle di Ilaria Alpi, quelle di Calipari e Giuliana Sgrena, giusto per rimanere all’interno della libertà di stampa e del diritto all’informazione. Ma ritornano, inevitabilmente, i crolli delle torri gemelle, il film del terrore che ci ha accompagnato per anni. Tutto ruota intorno al terrorismo islamico. Abbiamo imparato negli anni, termini difficili, abbiamo costruito nuovi neologismi – talebano su tutti – abbiamo condannato il Burqa ma, in fondo, non conosciamo moltissimo della cultura di quel popolo. Di tutto il popolo, intendo. Ci siamo fermati al folklore, quello che a noi sardi, ci ha sempre condannato: eppure solo una milionesima parte di noi è stato un sequestratore di persona. Questo è dunque il punto di partenza per poter provare a comprendere le difficili contingenze storiche e le ragioni profonde di un odio che cova nella cenere dei paesi “ricchi” da troppi anni. Nei sobborghi delle grandi città, nelle curve lontane di un’esistenza informatica e velocissima che costruisce barriere e non accetta l’altro. Anzi, lo costringe a vivere all’interno del suo recinto, gli costruisce un’economia ad hoc, gli permette alcune digressioni, come, per esempio, lo spaccio di droga – che qualcuno, comunque lo deve pur fare – accetta guerre intestine tra bande, offre lavoro, di quelli sottopagati si, di quelli giusti per il povero negro, che non sempre è islamico, ma per noi occidentali sono tutti estranei “in casa nostra”. Ci si convince che il nemico sia quello che giunge da un’altra civiltà, da un’altra cultura, ma non ci si rende conto che, invece, il nemico è stato costruito all’interno del silenzio morale attuato per anni, da quel silenzio della ragione che genera mostri. Questo dovrebbe essere il punto di partenza per tutto l’occidente.