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Il recinto del perdono

Il recinto del perdono

Ho sempre avuto molto rispetto per le vittime e ritengo che, come ha affermato Lorenzo Biagi, figlio del giuslavorista Marco Biagi, assassinato brutalmente dalle Brigate Rosse nel 2002, chi rimane con i ricordi ha comunque un ergastolo bianco da scontare, una tragedia e un dolore che non finiranno mai. Per mestiere, ho lavorato con i carnefici e ho sempre avuto rispetto per la loro storia, sebbene mai, neppure una volta, abbia giustificato gesti che hanno procurato dolore ad altri, dal piccolo furto all’omicidio.

In questi giorni è stato scarcerato Simone Boccaccini, il brigatista che fece parte del commando di fuoco che uccise Marco Biagi. Era stato condannato prima all’ergastolo, poi, in appello, gli sono state riconosciute le attenuanti generiche per un suo minimo contributo alla risoluzione del delitto, e la pena totale inflitta è stata ridotta a 21 anni. Avrebbe dovuto rimanere in carcere fino al 2026, ma, a seguito della concessione della liberazione anticipata per buona condotta, la sua condanna si è estinta e da qualche giorno Boccaccini è un uomo libero, avendo scontato la sua pena.

Qualcuno potrebbe obiettare (e lo fa anche Lorenzo Biagi) che non sia giusto concedere la liberazione anticipata a un assassino, ma la risposta è semplice: lo prevede la legge approvata dal Parlamento e, in ogni caso, sarebbe uscito tra due anni, e con molta probabilità anche davanti al fine pena qualcuno avrebbe avuto da ridire. Il problema (ed è un problema non solo giuridico) è che, dal carcere, prima o poi si esce. Dovremmo, invece, costruire strade diverse per chi, negli anni, dopo aver commesso il delitto, è stato rinchiuso in un penitenziario. Certo, non è semplice credere in un processo di ravvedimento, ma è un passaggio fondamentale che la comunità si è data scegliendo una via difficile, che non prevede vendetta.

Lorenzo Biagi, in un’intervista rilasciata a un quotidiano, ha affermato di non voler perdonare gli assassini di suo padre, e su questo punto lo capisco, lo giustifico e sono con lui. Il perdono è un sentimento intimo, indiscutibilmente privato e difficile da concedere. Ha poi aggiunto che spera solo di non incontrare mai Boccaccini e gli altri assassini perché gli farebbe molto male. Su questo punto mi sono fermato, ho tirato un lungo respiro e mi sono detto: sbaglia. È un errore giustificato, ovvio, comprensibile, ma è comunque un errore.

Maria Pia Moro, dopo molti anni, si è incontrata con gli assassini di suo padre, comprendendo che quello non era un gesto pietistico né un passaggio verso la strada del perdono. Era, piuttosto, un modo per provare a comprendere l’atrocità del gesto, soprattutto se l’omicidio è stato ammantato dal movente “politico”. Si è ucciso un uomo per le sue idee. Vorrei chiedere a Boccaccini: perché? Vi siete chiesti, durante le vostre assurde decisioni, chi c’era dietro al politico, dietro le sue scelte? Vi siete domandati quanto dolore avreste procurato premendo quel grilletto?

I brigatisti devono fare i conti con la loro storia e la comunità deve comunque fare la propria parte. La mediazione penale è un passaggio complesso, doloroso e, sappiatelo, è doloroso per entrambi. Ma, in un mondo inclusivo, è assolutamente necessario provare a percorrere, insieme, la strada del dialogo, della condivisione di alcuni punti necessari per seppellire, finalmente, le stigmate dell’odio e del rancore. Non è semplice e non è banale, ma restare barricati sulle proprie posizioni non ci fa crescere. Provare, invece, a proporre il rumore delle parole al silenzio della rabbia non ci restituisce chi è stato ucciso, ma è un patto tra vivi, tenendo sempre presente che un assassino rimane un assassino, ma che, dopo aver scontato la pena, deve essere accolto con uno spirito costruttivo nel recinto sociale.