Il desiderio di riscrivere la storia (La Nuova Sardegna, 16 settembre 2014)
Editoriale apparso sulla prima pagina del quotidiano “la nuova Sardegna” del 16/9/2014
E’ finita la vecchia storia del sardo solitario, del pastore “solu ch’e fera”, dell’atavica divisione tra uomini e donne appartenenti alla stessa terra? Probabilmente quello che è successo ieri a Capo Frasca è un punto di partenza ed è il desiderio di essere, finalmente, protagonisti. Metterei da parte l’orgoglio e la diffidenza, la divisione e la solitudine almeno per un attimo. Proverei ad analizzare la manifestazione in termini squisitamente letterari, metaforici, una sorta di fraseggio per immagini che hanno scosso le coscienze da tempo sopite. Non è importante sapere quanti fossero i sardi presenti sabato scorso a Capo Frasca e non è neppure interessante il balletto dei numeri tra gli organizzatori e la polizia. L’impressione è che quei tanti, quella piccola e significativa moltitudine, rappresentava “tutti”, rappresentava quell’incessante desiderio di esserci, rappresentava e ha rappresentato la voglia incontenibile di dire basta. Erano presenti molti sindaci, alcuni parlamentari, erano presenti gli intellettuali per poter analizzare, senza cedimenti, ciò che stava accadendo e, intorno molte, moltissime persone che hanno sentito il desiderio forte, incontenibile, irrefrenabile di esserci. Perché volevano raccontare qualcosa. Volevano descrivere un racconto, una storia, volevano, in qualche modo cambiare il corso delle cose, volevano rappresentare a chi quel libro l’ha scritto per anni, che il finale andava cambiato. Che la storia si poteva e si doveva modificare. Quella storia costruita sulla terra di un popolo, quella storia che ci ha scippato albe e tramonti, colori e voci. Quella storia che ha ridisegnato i nostri confini senza che noi parlassimo, con la segreta speranza che quei lembi di terra “prestati” per giochi di guerra, fossero utili per dare un lavoro. Perché poi, a ben guardare, sempre di questo si tratta: zittire un popolo riempiendogli velocemente la pancia. Poi, però, come tutte le cose scadenti che vanno “a male” ecco che intorno al fiorente mercato delle armi, dei giochi di guerra, nascono strane voci: si parla di bonificare il territorio e si procede velocemente e male. Per questo si muore di cancro. Ed ecco che tra il silenzio assordante delle autorità militari, molto più forte di quello antico e duro dei pastori sardi, si comincia a sentire lievi rumori, piccole ammissioni. Nascono le testimonianze e le voci accavallate diventano certezze: molti giovani sardi che hanno svolto il servizio militare nelle varie zone teatro dei giochi di guerra muoiono di tumore perché le bonifiche nucleari venivano effettuate a mani nude. Capo Frasca è dunque il punto di arrivo di una serie di vessazioni che si sono succedute negli anni. Ma è anche il punto di partenza per provare un nuovo percorso. Un percorso letterario, fatto di parole e di segni. Questo essere presenti ha significato che tutti vogliono riscrivere il libro della Sardegna: una cosa da sardi e tra sardi. Senza altre ingerenze. Significa che attraverso gli occhi di migliaia di persone occorre ripercorrere le scelte degli ultimi anni che hanno regalato fette di territorio abnormi ad uno Stato che non ha avuto lo stesso metro di divisione in altri luoghi. Uno Stato cieco, che non ha saputo conservare le proprie bellezze, che non ha saputo soppesare l’importanza storica e naturalistica dei luoghi. Uno Stato che ha chiuso frettolosamente la questione. Capo Frasca è dunque il modo per proporre e riproporre il nuovo romanzo della nostra gente, del nostro popolo. I sardi di Capo Frasca erano da quelle parti perché consapevoli di essere sardi e perché, finalmente, sentivano l’esigenza di rompere quell’atavico silenzio diventato un falso luogo comune per troppo tempo. Ora, l’esame critico dei fatti ci porta, necessariamente, a dover essere consapevoli e soprattutto razionali. Diceva Pasolini “non esiste razionalità senza senso comune e concretezza. Senza senso comune e concretezza la razionalità è fanatismo”. Ecco, il nostro nuovo libro dovrebbe partire da questo punto: senso comune e concretezza.