Il coraggio di saper dire no (La Nuova Sardegna 20 gennaio 2018)
Cosa sta accadendo al nostro futuro, ai giovani che, forse con troppa velocità, si stanno accostando alle curve della vita? Quali sono stati gli errori ed eventualmente le omissioni che in questi giorni rischiano di far saltare il banco e catapultano il bullismo violento nelle pagine di tutti i quotidiani e nelle discussioni dei talk-show? Ha ragione la procuratrice per i minori di Salerno quanto ricorda che il codice minorile ha in sé gli strumenti per affrontare questa situazione o, come afferma invece qualcun altro, il buonismo imperante di questi ultimi anni che ha eliminato di fatto il carcere per i minorenni è stato deleterio?
Perché dei ragazzini diventano “branco” e colpiscono a freddo altri ragazzini? E’ il risultato di quella che Bauman chiama “società liquida” dove le relazioni si stanno decomponendo e ricomponendo rapidamente e dove i riferimenti sociali si perdono? Dovremmo, io credo, fare un piccolo passo indietro che coinvolge i modelli, l’etica e la cultura dell’apprendimento ma, soprattutto, la cultura della sconfitta.
Ad Avola, in provincia di Siracusa, due genitori sono intervenuti in un istituto scolastico per aggredire un professore di educazione fisica reo, ai loro occhi, di aver rimproverato il figlio. Il ragazzino, dopo aver subito il rimbrotto, ha subito telefonato o whatsappato al padre e alla madre che subito hanno emesso la condanna, senza neppure chiedere nulla al povero docente il quale si è trovato ricoverato in ospedale per una frattura scomposta di una costola. Queste persone non hanno interiorizzato la cultura della sconfitta e non sanno neppure lontanamente cosa possa voler significare educare un minorenne. Non lo sanno nonostante abbiano ricevuto a loro volta un’educazione e probabilmente hanno anche interiorizzato la cultura del rispetto, ma hanno deciso che dentro questa modernità liquida non si sopravvive, se non aggredendo per primi l’avversario. Questo è il punto di partenza: abbiamo resettato i normali sistemi di educazione, abbiamo, come adulti, abdicato al ruolo di correttori e abbiamo lasciato il campo libero alla cultura della sopravvivenza e dell’ottenere tutto e subito tralasciando la qualità e la bellezza. Non si studia più, non ci si applica, non è sopravvissuta neppure la vecchia cultura dell’affiancamento che seppure ampiamente superata da sistemi di formazione sicuramente più evoluti, portava comunque il minore – dopo un periodo di apprendistato – a navigare in un mare mai troppo dolce, ma in ogni caso affrontabile.
Il dover giustificare sempre e comunque i nostri pargoli, senza neppure provare ad analizzare le circostanze, è un altro passo verso quel baratro sociale dove moltissimi si sono infilati e il passaggio successivo è stato quello di chiudere qualsiasi situazione con il termine “è una ragazzata”. Il bullismo è un fenomeno atavico, figlio di atteggiamenti propri all’interno di un gruppo di “pari”. La sua degenerazione e amplificazione è invece il risultato di alcune scelte poco ponderate da parte degli adulti e di una pedagogia dell’assoluzione che, nei confronti degli adolescenti, non può e non deve essere giustificata. Il diritto minorile ha delle risposte per arginare e sconfiggere questo fenomeno in quanto il giudice può disporre di un ventaglio ampio di possibili provvedimenti che possono garantire interventi mirati, volti a incidere positivamente sui percorsi di sviluppo e di responsabilizzazione dei ragazzi a cui sono rivolti. Il giudice può cristallizzare il giudizio dando al ragazzo un’altra possibilità oppure può decidere un periodo di carcere minorile prima di un inserimento in una comunità. Questi sono gli strumenti che esistono e che si dovrebbero utilizzare.
Non servono nuove leggi, servono semmai buone leggi e quella relativa al mondo minorile, ovvero il Dpr 488 del 1988, è un buon codice. C’è una sensazione di impunità che non è prevista dalla normativa.
Il buonismo del passato non ci ha portato molto lontano. Occorre prenderne atto e provare a voltare pagina.
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