I muri raccontano (La Nuova Sardegna, 25 maggio 2019)
Se vogliamo raccogliere gocce di verità dobbiamo accarezzare i muri. Sono loro nel paese silenzioso di Orgosolo che raccontano fatti e misteri, odi e rancori, lotte e dissapori, malesseri lontani apparentemente dissolti. Dentro quei muri scrostati, in mezzo ai quei dipinti e a quelle parole, a quegli occhi sordi e vividi c’è la fotografia di un luogo che ha camminato verso “sa modernidade” ma, come se fosse ingoiato da una maledizione segnata, è sempre ritornato indietro a ripetere gesti e storie stantie. Quell’automobile bruciata e quelle ruote squarciate non sono Orgosolo. Ma è accaduto ad Orgosolo. Quella stazione dei carabinieri appena inaugurata e subito sfregiata non è Orgosolo. Ma è accaduto ad Orgosolo. Non possiamo continuare a scrivere la storia ritagliando frasi ripetute negli anni. Però è difficile ricominciare, riprovare, ricostruire. I muri raccontano. Orgosolo è un luogo bellissimo e intenso, con una sola vallata e il monte Armario a osservare i rumori lontani. Orgosolo è la terra di una martire e della rivolta di Pratobello. Nel 1969 quei muri umidi e silenti subirono l’affronto di dover accogliere un avviso in cui si invitavano i pastori a trasferirsi dai loro luoghi perché da quelle parti si sarebbe costruito un poligono di tiro. Orgosolo disse no alle armi e lo fece pacificamente. E vinse. I muri lo sanno. I muri lo ricordano. Lo hanno scritto e disegnato. E lo sanno anche gli orgolesi che indietro è stupido ritornare, che le orme si cancellano e gli odi non riportano alla vita ma, semmai, raccolgono rancore. I gesti nobili hanno il diritto di finire sulle pareti di questa terra forte e silente. Bruciare un’automobile o squarciare le gomme non è un’impresa che raccoglie consensi. Da nessuna parte. Perché, a parte la vigliaccheria, è inutile e non costruisce nessuna opportunità. I carabinieri, la polizia di stato e quella penitenziaria, la guardia di finanza e il corpo forestale hanno le stigmate dei sardi. Colpire uno di loro significa ferire al cuore la Sardegna e sputare su una divisa che negli anni ha saputo trovare un punto di contatto con tutta la gente, compresa quella di Orgosolo. Hanno agito nella notte, in sella ad una motocicletta. Indossavano il casco e sono stati ripresi dalle telecamere. Sicuramente le indagini riusciranno a trovare i due personaggi che hanno riprovato a ridisegnare la storia dalla parte sbagliata, hanno provato a narrarci che Orgosolo è violenta, che è un paese gonfio di omertà e di silenzi sospetti. Ma i muri parlano. Almeno loro. E dobbiamo credere ad un’altra storia che non può essere scritta da due persone con un casco in testa. I muri dicono che quel paese ha affrontato mille insidie e molte sconfitte, qualche vittoria e la voglia di osservare l’acqua con occhi diversi: tutto scorre e non può ritornare. Questo sfregio Orgosolo non se lo merita, non possiamo buttarla in sociologia spicciola e non possiamo chiudere il capitolo con la solita e troppo abusata “balentìa” che, a dirla tutta, poco c’entra con questo gesto inutile e volgare. Ecco: i muri di Orgosolo hanno raccolto tristezza e lacrime, urla e disperazione ma nessun gesto è stato mai volgare. Quando ci si spinge a questo significa che non si hanno argomenti da mettere sul tavolo della discussione. Bruciare un’automobile è solo un modo per dimostrare la propria inutilità. Non è un’impresa da collegare ad Orgosolo, non è un’impresa per la quale vantarsi. Quella caserma, quella bandiera tricolore abbracciata da molti sardi, non può essere sfregiata da due uomini con il casco. I muri parlano e raccontano un’altra storia. Quella di un paese che non accetta i fari puntati, i luoghi comuni, un etichettamento fuori luogo e sgradevole. Orogosolo sono le mani di Teresa Podda che ha realizzato per la nuova caserma un murales con la scritta: “Sos carabinerisi. Cun sa zente, pro sa zente”. I muri raccontano e dicono questo e non si può pasticciare il futuro per colpa di due mezzi uomini con un casco. I muri, per fortuna, sono i frammenti delle nostre vite.