I bambini che guardano la guerra. (La Nuova Sardegna, 13 aprile 2022)
Masha ha quattro anni, ha conosciuto la guerra e non parla più.
Lo racconta sua madre Irina: “Ha visto i missili russi cadere nel fiume davanti alla finestra. Le tremano spesso le mani”. Passa la giornata ad osservare il vuoto, il futuro che non c’è, un futuro di cui aveva diritto ed è stato cancellato da chi ha disegnato pentagrammi senza note, linee rette e terribili.
Non ci chiediamo mai abbastanza cosa diventeranno, da grandi, quei minori che hanno conosciuto la guerra, impegnati come siamo ad imparare nuovi luoghi, nuove croci da sistemare da Kiev a Bucha, da Mariupol a Borodyanka.
Una geografia dei mattatoi, degli stupri odiosi e ripetuti in tutte le guerre, da Caino ad oggi.
Dovevamo regalare il futuro alle nostre nuove generazioni e le abbiamo catapultate nel passato più nero in nome di ragioni difficili da comprendere e giustificare. Quei minori cresceranno e non troveranno le parole, sono sfuggiti al massacro fisico ma non potranno evitare quello psicologico.
Si fugge dalle guerre e si tenta di salvare i propri figli. Lo fanno tutti i genitori: dal Sudan al Vietnam, dalla Palestina al Kosovo. Ed oggi dall’Ucraina. Molti di quei ragazzi sono arrivati in Europa da soli e son diventati “minori non accompagnati”, locuzione burocratica legata agli aiuti da parte della comunità europea su delle fragilità innocenti. Quei minori sono cresciuti in comunità d’accoglienza, alcuni hanno trovato il calore delle famiglie. Il più delle volte, però, sono rimasti da soli davanti ad un mare immenso: senza barca, senza timone, senza neppure dei remi.
I minori stranieri non accompagnati sono, al mese di febbraio di quest’anno, 11.201 solo in Italia. La maggioranza di essi (circa 10.000) ha un’età compresa tra 16 e 17 anni. Molti di loro provengono dal Bangladesh, dall’Egitto, dall’Afghanistan, Somalia Mali, Sierra Leone, Iran. Sono luoghi teatri di guerra o di disperazione (che poi, a ben guardare, è la stessa cosa). In base agli sbarchi l’accoglienza è concentrata in Sicilia dove ci sono 3.112 minori.
In Sardegna sono ospitati 68 minori in alcune comunità protette e seguono un programma di integrazione. Non è semplice. Molti di loro fuggono, commettono piccoli reati e, molte volte, finiscono nelle carceri minorili. Percorsi di dannazione e di sconfitta per chi ha disegnato una vita sbagliata fin dall’inizio.
Si spendono molte parole e roboanti promesse per loro ma poche sono le azioni in concreto che sono avviate nei loro confronti. Questi ragazzi sono come bombe inesplose: hanno nel loro bagaglio di ricordi la sofferenza, l’odio, l’indifferenza e la violenza subita; si portano dentro i lividi di un’infanzia oltraggiata e derisa da quei signori della guerra, da quelli che hanno deciso di far saltare tutti i ponti del futuro. Sono ragazzi irrequieti, a volte non riescono a dormire e, soprattutto, non riescono a raccontare.
Ne ho incontrati alcuni nelle carceri minorili di Torino, Bologna, Firenze, Quartucciu. Hanno tutti quello sguardo solido, incommensurabile, uno sguardo che non riesce ad andare oltre le sbarre di una cella. Alcuni di loro riescono, attraverso una serie di progetti, a ripartire: imparano la nostra lingua, giocano a pallone, si impegnano a preparare la pizza o incollare dei libri. Piccole schegge di umanità.
Ora, il nostro impegno diventa enorme nei confronti dei nuovi sfollati, dei minori scheggiati e arrotolati nel loro mutismo. I ragazzi dell’Ucraina vengono con i loro genitori e si spera sia solo una piccola pausa alle loro sofferenze. Però – ed è un però grande quanto l’umanità – ci chiederanno anche loro il conto, si domanderanno il perché di tutto questo, di quell’attacco alle loro case, alla loro normalità. Se lo chiederanno come quei ragazzi del Sudan, della Palestina, della Costa d’Avorio, dell’Iran e dell’Afghanistan.
Gli occhi dei bambini sono sempre gli stessi e non hanno distorsioni. Non sono miopi o astigmatici. Siamo noi con i nostri sguardi errati a non pensare, neppure per un attimo a loro, a Masha e agli infiniti silenzi di una gioventù distrutta.
©giampaolo casitta
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