I baci ai tempi del corona virus (La Nuova Sardegna, 28/2/2020)
Cammino come dentro un acquario in una Torino spettrale. Da Corso Vittorio Emanuele a Piazza Vittorio Veneto, tra il fiume Po che appena borbotta avrò incrociato, al massimo, dieci persone. Poi una coppia molto giovane che sorride piano. Prima si abbracciano e poi si baciano con una naturalezza quasi commovente. Finalmente dico. Finalmente qualcosa di normale in tempi dove il corona virus ha dettato i passi e i movimenti della nostra agenda sociale. E davanti ad una Piazza San Carlo desolatamente vuota e bellissima, mi chiedo: perché siamo arrivati a tanto? Un giorno, credo, sarà necessario riavvolgere il nastro di questi momenti terribili, indolenti, irrazionali, dove basta un semplice starnuto per crearci ansia, paura dell’altro, senso di frustrazione nel vivere i luoghi. Come è potuto accadere che un paese tra i più industrializzati, con una sanità tra le migliori del mondo, è caduto nella trappola del panico? Come siamo arrivati ad ascoltare con attenzione assoluta un medico che ci ricorda di lavarci le mani e, addirittura, ci insegna come farlo? Sembra quasi che in un attimo ci siamo dimenticati anche le regole più elementari dell’igiene, quelle imparate fin da piccoli ed insegnate con semplicità dai nostri genitori. Abbiamo cancellato le regole del vivere in comune, dello stare insieme, del confonderci nel chiacchiericcio quotidiano. La stazione di Porta Nuova è quasi deserta e si incrociano solo poche persone che camminano alla spicciolata, con fare guardingo; qualcuno indossa una mascherina. Come se fosse l’ultima barriera utile tra noi e gli altri, come se fosse l’unico fardello per la sopravvivenza. Ci sono esperti che raccontano l’inutilità di questo dispositivo igienico, altri che, invece, ne enfatizzano l’importanza. Il risultato è quasi comico se non fosse tragico: le farmacie appendono cartelli dove evidenziano che non hanno più mascherine e disinfettante per le mani. Vorrei tornare da quei due giovani che si baciavano lungo il Po. Vorrei farlo per ringraziarli di quel gesto così potente e bello dentro una città dove, ben inteso, non c’è nessun caso conclamato di corona virus, non c’è nessun focolaio, ma le scuole sono state chiuse, i musei sono stati chiusi, le mostre sono state chiuse e per le strade ci sono pochissime persone. In una città operaia, movimentata, dove tra qualche mese ci sarà la fiera del libro, dove le parole cammineranno per giorni e dove i racconti saranno il corollario alla bellezza austera di una città simbolo dell’efficienza e della serietà; in questi giorni regna la paura, il timore sensibile di vivere un momento quasi drammatico. Abbiamo compreso però come è difficile stare dalla parte degli esclusi, noi che negli ultimi anni siamo stati sul palcoscenico con il ruolo di chi esclude. Un aereo italiano che non viene accettato in un’isola africana, famosa per il suo mare cristallino e dove molti connazionali amano trascorrere qualche giorno di vacanza; i turisti italici costretti a rientrare nottetempo. Ci hanno rifiutati come se fossimo appestati. Ci hanno respinti, hanno chiuso i porti e gli aeroporti. Loro. Lo hanno fatto con la stessa forza usata da qualcun altro nei confronti di persone che non avevano il corona virus ma erano solo nati dalla parte sbagliata. Ecco, quando riavvolgeremo il nastro di ciò che accade in questi giorni, quando saremo in grado di analizzare con più raziocinio questi convulsi momenti, forse riusciremo a comprendere quanto sia complesso vivere in un mondo globalizzato dove tutti si muovono e tutti, ma proprio tutti, hanno il diritto di farlo. Qualcuno comincia a dire che troppa informazione equivale a nessuna informazione. Non è vero. Il problema è che continua, anche in questi momenti, il gioco del voler attaccare a tutti i costi chi governa, chi decide, chi non mostra i muscoli. I titoli di alcuni quotidiani sono urlati e sono orribili. Denotano una mancanza del senso della misura, fanno esplodere la rabbia dove, invece, servirebbe razionalità. Quando riavvolgeremo il nastro ci pentiremo di tutti i baci non dati e di tutta questa artificiosa solitudine.