Esiste ancora il padre padrone (La Nuova Sardegna 18 agosto 2022)
Sembra la vecchia storia del padre padrone, ma sono passati troppi anni e il contesto è completamente diverso. Sembra il racconto legato agli stereotipi del sud, tra Salerno e Crotone ma non è così semplice. Sembra una storia non vera, assurda, contro l’amore e la voglia di vivere la propria vita ma non è esattamente così. Che cosa porta un padre a urlare “meglio trent’anni di galera che una relazione gay di mia figlia?” E che cosa passa nella mente di una madre quando sbarra la via di fuga a due ragazze spaventate e pronte a fuggire da quell’incubo? Genitori non si nasce e lo si diventa con fatica, con impegno, con dedizione e passando attraverso molti errori. I figli sono del mondo e non dovrebbero rispondere alle richieste a volte terribili, a volte insulse e troppe volte egoistiche dei genitori. Volere il figlio dottore era un desiderio dei nostri genitori, quelli cresciuti durante la guerra e che immaginavano un futuro migliore per i propri figli. Ci sono stati, negli anni, ripensamenti e revisioni, l’educazione troppo rigida è stata superata da una meno dura e più permissiva sino a rasentare, nel corso delle varie evoluzioni pedagogiche, una diseducazione di fatto dove i genitori diventavano amici dei figli e dove tutto era permesso. Educare non è semplice ma è un mestiere che occorre imparare se si decide di mettere al mondo dei figli. L’atteggiamento di questo padre del sud è contrapposto ai genitori di Crotone, anch’essi del meridione che, a differenza del primo, avevano accettato la relazione della loro figlia con un’altra ragazza. Si chiama rispetto, si chiama amore per i propri simili, si chiama condivisione degli affetti. Il padre padrone (e la madre complice, purtroppo) hanno, invece, anteposto il loro comune sentire, hanno pensato a quello che avrebbe potuto pensare la gente e hanno condannato la relazione d’amore. Hanno anteposto al rapporto interiore, vero, forte, l’esteriorità del gesto; un padre che addirittura chiede “non ti fa schifo baciare una donna?” è un genitore anaffettivo, incapace di costruire sentimenti intorno a quella figlia che, a parole, diceva di amare. “Mio padre era il sole, la mia gioia” ha dichiarato la ventitreenne napoletana; quella gioia è diventata ferocia, cattiveria, buio assoluto, è diventato il carnefice, il giudice supremo di una relazione d’amore.Perché di questo si tratta e di questo dovremmo cominciare ad avere il coraggio di discutere:i figli, tutti i figli, hanno un cuore, disegnano emozioni, raccolgono opportunità, percorrono strade tortuose e non sono mai quelle dei genitori. Non possono esserlo. Si potranno innamorare di un tedesco o di un francese, di un indiano o africano, potranno vestirsi con dei colori cangianti o scurissimi, voteranno un partito diverso dal nostro, faranno il tifo per una un’altra squadra, vorranno girare il mondo o stare chiusi nella propria stanza ma resteranno, per sempre, nostri figli, con le loro diversità. È questo il concetto fondamentale che il padre padrone salernitano non ha voluto apprendere e comprendere: la bellezza della diversità, dell’essere canoni inversi, di amare la musica partendo da punti di vista lontani ma sempre di note sul pentagramma si deve parlare. L’amore è un concetto astratto, difficile da identificare in quanto ognuno riesce a dare definizioni dissimili. È una ricchezza, ma accoltellare la propria figlia perché ama un’altra ragazza non è amore, difendere il proprio figlio anche quando sbaglia non è amore, abituare il pargolo sempre alla vittoria non è amore. Il gesto di quel padre accecato dalla paura degli altri, dalla convinzione di essere padrone della propria figlia è un comportamento triste, inutile e vuoto. Le due ragazze si amano e in futuro potranno magari lasciarsi e costruire nuove strade con nuovi amori. I genitori sapranno attingere dai gesti dei propri figli l’essenza di un rapporto vero, complice, sano. I figli si rispettano per le scelte che compiono, anche se non sono quelle dei genitori. Questo è amore.