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Era d'estate. Lo Stato e la mafia. (23 aprile 2018)

Era d’estate. Lo Stato e la mafia. (23 aprile 2018)

Nel 1995, all’Asinara, c’erano oltre cento detenuti nella diramazione di massima sicurezza di Fornelli. Divisi in due grandi bracci per categorie di criminali: mafia da una parte (e per mafia si intendeva anche ‘ndrangheta e stiddari) e camorra dall’altra. Tutti sottoposti al regime previsto dall’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario. L’aria che si respirava era chiaramente pesante: per i detenuti e per i poliziotti che dovevano stare sempre molto attenti a far rispettare le regole di uno Stato ferito, annichilito, ma che non poteva essere sconfitto dalla criminalità organizzata.

Nel 1995, all’Asinara, molti detenuti non ritenevano di meritare quel regime restrittivo dove non era previsto il lavoro, dove la giornata trascorreva quasi totalmente in cella e dove si potevano incontrare i propri familiari una sola volta al mese, attraverso dei vetri divisori. Tutta la corrispondenza era sottoposta al filtro della censura. Ci furono diverse impugnazioni al regime di carcere “duro” e a dover decidere era il Tribunale di Sorveglianza di Sassari. Gli avvocati difensori le provarono lecitamente tutte: dalla malattia che non permetteva al loro assistito di poter reggere quel regime, alla lontananza con i familiari costretti a viaggiare con dispendio di energie e di denari dalla Campania e dalla Sicilia verso la Sardegna e affrontare, inoltre, un nuovo viaggio in un’isola che consideravano “maledetta”.

Era d’estate. Di quelle estati gialle e assolate che solo la Sardegna sa dipingere e dentro quel silenzio ovattato all’Asinara c’era come una percezione, come una piccola convinzione. Era stato appena arrestato Leoluca Bagarella e quasi sicuramente sarebbe arrivato sull’isola come suo cognato Totò Riina. Un altro colpo durissimo alla mafia, un altro colpo fortissimo che tentava di lenire le ferite di uno Stato che provava a ripartire dopo una stagione politica variegata e complessa. Nel giugno del 2003 Nicolò Amato era stato sostituito e al vertice dell’amministrazione penitenziaria si era insediato un nuovo direttore generale.
Era d’estate. Di quelle estati che te le senti addosso non per il rumore delle cicale ma per quel mare che all’Asinara avvolgeva il silenzio e il caldo quasi asfissiante. Anche a Fornelli. Soprattutto a Fornelli, dove il cortile per i passeggi era un trapezio in cemento. Camminavano parole in quel recinto, camminavano lente. Le lettere raccontavano le solite cose: la lontananza, l’amore per i figli, l’innocenza, l’ingiustizia per quel regime maledetto e la speranza che l’avvocato potesse, in qualche modo, riuscire a saltare l’asticella del 41 bis. Il Tribunale di Sorveglianza di Sassari, come quello di Ancona, concesse piccole cose e tra tutte la possibilità di poter avere il fornellino in camera per scaldarsi alcuni cibi. Un passo. L’unico. Gli avvocati prospettavano l’incostituzionalità dell’articolo 41 bis, ma tutto restava fermo, almeno da quelle parti. Eppure quell’estate la percezione camminava come su una mulattiera sconosciuta, tra rupi e valli, tra i silenzi e  parole non dette, frasi non scritte. La percezione era nell’aria. Si respirava tra chi dentro quel carcere ci lavorava per dimostrare che lo Stato non si era arreso, non era arretrato.

Era d’estate quando cominciarono ad arrivare le prime deroghe, quando alcuni provvedimenti non furono reiterati, quando qualche detenuto ritornò nella penisola in un carcere di alta sicurezza ma non più nel regime vigente a Fornelli. Il Ministro non firmò alcuni decreti e molte celle cominciarono a svuotarsi. Quella percezione continuò a camminare nei mesi, sino a giungere al 1997 quando, in maniera quasi repentina, si chiuse la sezione di massima sicurezza di Fornelli e i detenuti furono trasferiti, sempre in regime di 41 bis, in altri Istituti penitenziari. Chiudere la sezione dell’Asinara era una delle richieste contenute in un foglietto. Il carcere dell’Asinara, come quello di Pianosa, faceva molta paura. Troppa paura. Io me la ricordo molto bene quell’estate e quelle strane percezioni.