Da Sassari a Verona (La Nuova Sardegna, 11 giugno 2023)
Sono ritornati a scheggiare il senso dello Stato. Non sono serviti Stefano Cucchi, il pestaggio nel carcere di San Sebastiano, la macelleria della scuola Diaz, il massacro di Santa Maria Capua Vetere immortalato dalle telecamere, non sono bastati gli appelli di chi, quotidianamente, lavora e onora una divisa. Non sono serviti perché dalle sconfitte si rischia di non imparare se a chi ha violato ripetutamente la legge non comprende una cosa semplicissima e basilare: lo Stato non si vendica, non prevarica, non esclude, non giudica. Sono fondamentali le parole di un agente di polizia che diceva una cosa semplice e necessaria: “una volta messe le manette anche il peggiore criminale è una persona e come tale è da rispettare sempre”. Ancora oggi siamo costretti a discutere di razzismo, di violenze, di botte e di umiliazioni e ancora oggi i giornali coniano un nuovo neologismo: il metodo Verona. Dopo le mattanze, gli sputi, i calci, ecco l’arroganza nascosta nelle architravi di uno Stato che non poteva e non può continuare a fare spallucce e affermare che si farà chiarezza e giustizia. Prendersela con gli ultimi i tossicodipendenti, gli extracomunitari, i ladri di piccolo cabotaggio è tremendamente vigliacco e non degno di una persona. Figuriamoci se quella persona veste la divisa e ha giurato sulla Costituzione italiana. Perché, a ben vedere, questi poliziotti hanno sputato sui cittadini che hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge. Non lo capiscono, non lo introiettano perché è un problema di formazione. Lo diciamo da anni: devono essere modificati i programmi all’interno delle scuole di polizia e dei carabinieri. Non ci si può accontentare di eliminare la mela marcia. Quella mela è il frutto di passaggi opachi, non chiari e non chiariti. Molti affermano che quei poliziotti, in fondo, provengono dalle stesse strade dissestate calpestate ultimi: strade del sud, gonfie di violenza, di menefreghismo, di sopraffazione. E’ solo in parte vero. Oggi l’estrazione di chi effettua un concorso per un posto di poliziotto o carabiniere si è elevata. Quasi tutti sono diplomati e non sono solo dei semplici “esaltati”. La legge del branco esiste ancora, come quella del corporativismo ma esiste, ed è la più pericolosa, la certezza dell’impunità. Il vantarsi di aver commesso un pestaggio, un’umiliazione e vantarsi addirittura con i propri cari è voler “apparire” senza necessariamente dover “essere”. Gli ultimi fatti di Verona dove cinque poliziotti sono finiti agli arresti domiciliari, diciassette sono indagati per violenze e ventitré sono stati trasferiti perché sapevano e non hanno fatto niente, la dice lunga su quanta strada c’è ancora da fare nella costruzione di una democrazia compiuta all’interno delle forze dell’ordine e della sicurezza. E’ vero: sono casi minimi, isolati. La maggioranza di chi è preposto alla nostra difesa sociale lo fa in maniera encomiabile. Però certo non aiuta il clima che negli ultimi tempi si alimenta. Quasi a voler “minimizzare” questi terribili e vergognosi atteggiamenti di chi indossa una divisa. Non aiuta la proposta di legge presentata ad inizio legislatura da parte di Fratelli d’Italia che intende sopprimere il reato di “tortura”. Il clima è poco trasparente: non si condanna in maniera ferma; ci si indigna per qualche giorno e poi tutto ritorna nel silenzio. Portiamo ancora le cicatrici dei pestaggi del carcere di San Sebastiano, le portiamo come stigmate di una città che nel 2000 si svegliò sbigottita, incredula a quello che capitò nel penitenziario. Mi trovai davanti, in carcere, degli agenti accusati di quei pestaggi. Stetti molto male. Alcuni erano miei collaborati, altri li conoscevo. Decidemmo che quella fosca storia potesse essere cancellata attraverso passaggi formativi che, per fortuna, ci sono stati. Poi sono ritornate le macchie che continuano ad imbrattare le divise dello Stato. Non possiamo continuare in questo modo. Lo Stato deve agire, con fermezza. Prima che sia troppo tardi.