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Cattivi maestri (La Nuova Sardegna, 21 aprile 2019)

Cattivi maestri (La Nuova Sardegna, 21 aprile 2019)

Alcuni ragazzini, minorenni, decidono di rubare delle bicilette ma vengono scoperti dai carabinieri. Una volta che i genitori vengono contattati dai militari per riaffidare i loro figli si sentono rispondere da alcuni “potevate tenerveli”. Un altro genitore dei ragazzi fermati, alla ricezione della chiamata alle prime ore della mattina, afferma che è troppo presto e che sarebbe passato in caserma con calma.  E’ successo a Cremona, profondo Nord. Sempre nel profondo Nord, a Ferrara, un undicenne urla addosso ad un suo coetaneo insulti indicibili: “quando saremo grandi faremo riaprire Auschwitz e vi ficcheremo tutti nei forni, ebrei di…”. E’ questo che hanno seminato i genitori di questi minorenni? Probabilmente si. Era questo il futuro che si auguravano i nostri genitori e i nostri nonni, quelli, per intenderci,  che hanno lottato per consegnarci un paese più civile e decoroso? Sicuramente no. Allora cosa è successo?
Quello che è accaduto è difficile da decifrare. Possiamo provare a chiarire perché la lavatrice si è rotta, perché l’automobile non parte, possiamo spiegare il corto circuito che ha innescato l’incendio di Notre Dame de Paris, ma non riusciamo mai a comprendere le logiche che spingono gli uomini a comportarsi in un certo modo piuttosto che in un altro. Perché in questo caso di adulti si tratta: i minori sono solo il prodotto finale, dietro il palcoscenico di quegli atti  effettuati da dei ragazzini c’è una terribile regia che ha banalizzato il male sino a renderlo stupido.
Non credo ci sia nessun genitore da me conosciuto che a una telefonata di un rappresentante delle forze dell’ordine possa brillantemente rispondere sul proprio figlio “tenetevelo” o, addirittura “passo più tardi” e come – almeno credo – non ci sia nessun genitore che insegni ad un ragazzino di undici anni frasi così terribili e cattive come quelle che sono state urlate ad un bambino, reo solo di essere ebreo. Cosa è successo?
E’ successo che siamo ormai distratti da diverse logiche e non contempliamo, neppure per un attimo, quanto sia importante soffermarsi a parlare con i nostri figli. E’ successo che regaliamo spazi sempre più ampi ai videogiochi, alla palestra virtuale dove i nostri ragazzi si allenano all’odio e al nichilismo più sfrenato. E’ successo che tutto è stato ristretto al nostro condominio, al nostro piccolo cortile, a quel sovranismo che ci fa dire: gli altri sono cattivi. E’ successo che non sappiamo più capire cosa sia la comunità e cosa significhi vivere in comunità, cosa abbia significato per i nostri padri lottare contro il fascismo, le leggi razziali, la riconquista della libertà, la scrittura della Costituzione. E’ successo che siamo divenuti insensibili. Non sappiamo cosa dire davanti ad un reato commesso dai nostri figli, non sappiamo come rispondere alle atrocità delle parole anche perché – e non dovremmo mai dimenticarlo – i cattivi maestri quotidianamente giocano a farci sentire unici, implacabili, figli di territorio, depositari del nostro destino che non può collimare con quello di nessun altro. Abbiamo perso nel momento in cui abbiamo ammainato la bandiera dell’attenzione sui nostri figli. Abbiamo perso quando un ragazzino di undici anni si permette di violentare un suo amico con delle parole che fendono come una lama. Cosa ne sanno quei genitori disattenti e svogliati dei proprietari di quelle bicilette rubate nottetempo dai loro figli solo per divertirsi? Che ne sanno se quei semplici mezzi di trasporto servono a dei padri di famiglia per recarsi a lavorare? Che rispetto possono avere questi genitori nei confronti delle forze dell’ordine che provano, tutti i giorni, a rendere meno oscuro quel mondo che ci ostiniamo a sentirlo solo nostro?
Quanti libri sul fascismo, sul nazismo hanno letto quei genitori che hanno permesso al loro figlio di undici anni di utilizzare un frasario inaccettabile? Quanti libri dovrebbero leggere per provare a capire che essere genitori non è facile? Forse troppi e  forse abbiamo perso per davvero.