
Catene
Guardate quegli uomini dal viso nascosto e dal fiato sospeso, osservateli bene, nel loro infinito cammino tra la terra e un cielo ostile. Guardate quegli uomini e le loro catene, come se fossero i peggiori, gli inetti, i colpevoli. Guardateli e provate a dire: “Credevo fosse tutta propaganda.” Cosa significa davvero la frase: “Promesse fatte, promesse mantenute”, se non la firma di un’azione crudele, infima, vigliacca? Guardate con occhi fermi e provate a ripetere le frasi di circostanza: “Un conto è la retorica elettorale, un conto la realtà.”
Avvicinatevi a quegli uomini, colpevoli soltanto di essere nati nella parte sbagliata del mondo, e dite loro a voce alta: “È stato Dio a salvare il presidente degli Stati Uniti, e voi fate parte del disegno di Dio.” Provate a sorridere, a spostare l’asse del discorso, se ci riuscite. Provate a giustificare l’atto, ritenetelo equo, giusto o, al massimo, eccessivo. Perché noi, dalle nostre parti, quando li deportiamo in Albania, le catene non le mettiamo. Siamo più umani noi.
Provate a sentire quel rumore di catene, che racconta la sconfitta di tutto il genere umano. Provate a osservare meglio e rendervi conto che, comunque, anche con Obama e Biden quegli uomini sarebbero stati respinti. Ed è così. È stato davvero così. Lo facevano, ma non li esponevano al pubblico ludibrio. Non era rispetto, è vero. Ma allora, se tutto questo è vero, spiegatemi la differenza tra questi innocenti incatenati e un uomo molto pericoloso, additato dalla Corte dell’Aia, che vola su un volo di Stato verso la propria patria.
Provate a chiedervelo e a spiegare dov’è Dio, dov’è la patria, dov’è la famiglia. Provateci. Se ne siete capaci.