Camminare sul carcere leggeri (La Nuova Sardegna, 1 novembre 2023)
Ci eravamo conosciuti all’Asinara. Io educatore, lei fresca vincitrice di un concorso per operatore amministrativo. Erano i primi anni novanta ed eravamo giovani, aggrappati alla vita e ad un futuro tutto da disegnare.
Patrizia Incollu costruiva sorrisi con gli occhi, camminava leggera su quell’isola carcere. Avrebbe poi partecipato al concorso per direttori e l’avrebbe vinto. Perché era brava, perché era determinata. Perché quello era il suo mestiere. Un mestiere ruvido, con molte strettoie e pochissime pianure. Il direttore di un carcere è come una vera e propria missione: difficile, complicata, a volte intrigante a volte quasi inutile. Si lavora sul filo delle opportunità e della paura. Quella di non farcela, quella di non riuscirci, quella di non essere all’altezza.
Patrizia Incollu era nata direttrice. Lo si capiva da subito, dalle sue pause, dalla sua voglia di ascoltare e intervenire, da quel suo modo pragmatico di vedere le cose, di annusarle e di provare a risolverle. Ha diretto moltissimi istituti, soprattutto Sassari San Sebastiano, Sassari Bancali e Nuoro. E’ stata anche a Mamone, a Tempio, a Lanusei e in quella strada ha restituito gli ultimi attimi della sua vita terrena. Perché questo è un altro discorso che riguarda i penitenziari della Sardegna ed è un discorso squisitamente politico. Non ci sono direttori e quei pochi che ci sono occupano tutti gli istituti. E’ cosi da anni e, conoscendo le politiche del Dipartimento, sarà così per altri anni. Ci sarà qualcuno che verrà per qualche mese, per qualche anno e poi lascerà questa terra gonfia di carcere e di detenuti che non sono i suoi. Abbiamo oltre duemila posti a disposizione per una popolazione detentiva sarda che non supera le 800 unità. Non avevamo bisogno di quelle carceri disegnati ai confini dell’ignoto, non ne avevamo bisogno perché il tasso di delinquenza in Sardegna è tra i più bassi d’Italia. Avremmo dovuto chiudere il carcere di Lanusei nel 2014 ed era quasi fatta ma c’era il Tribunale e gli interessi di bottega sono sempre più importanti della programmazione e della vita di chi in carcere ci vive e ci soffre tutti i giorni. Così Lanusei è rimasto aperto e da anni senza nessun direttore. Con pochissimi detenuti e con una spesa assurda e, adesso, anche con il sangue di un poliziotto e di una direttrice. Quante saranno le parole che si leveranno a chiedere una politica penitenziaria degna di questo nome? E quanti saranno i fatti?
Patrizia Incollu ha lasciato domande inevase, ha lasciato un vuoto incolmabile, ha lasciato la rabbia e l’impotenza di chi tutti i giorni nelle carceri ci lavora per restituire dignità ha chi ha sbagliato, per garantire la sicurezza ai cittadini, per onorare uno Stato oggi distratto e lontano. Suoneranno le campane a morto, suoneranno le parole e le promesse in una terra orami lontana e abbandonata.
Quanto tempo ci vorrà ancora affinché ogni Istituto penitenziario abbia un dirigente effettivo senza che questo viaggi tutti i giorni per le strade tortuose dell’isola ma si limiti soltanto ad appianare le strade di chi ha sbagliato? Patrizia Incollu sarà quel grido ultimo, quella richiesta di dignità per tutti i lavoratori dei penitenziari sardi? Lo spero, ma non ne sono convinto.
Troppo silenzio, troppa poca forza nelle scelte, troppo poco Stato da queste parti. E la vita di una direttrice ha concluso di correre e sperare. Lei, che ha fatto ballare il candeliere a Bancali ci ha regalato l’ultimo sguardo acerbo, duro, triste. Ed è difficile, davvero, poter dire “fallo ballare”.
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