Camici, pigiami e assessori. (La Nuova Sardegna 13 luglio 2022)
Ho telefonato per fissare un appuntamento con un medico specialista. La risposta mi ha lasciato senza parole: “Le mie sono tutte visite intra moenia, non ho ambulatorio e pertanto sono state tutte bloccate dalla decisione dell’Assessore”. Ha aggiunto di provare a prenotare al CUD cosa che ho fatto: la prima data utile per la mia visita specialistica è il 20 dicembre 2022 a Oristano. Mi dovrò, pertanto, rivolgere ad un medico extra moenia con due risultati entrambi negativi: spenderò ovviamente di più e nessuna quota andrà all’azienda sanitaria. Ho avuto modo, in quest’ultimo mese, di affrontare l’esperienza di un ricovero. Niente di grave, per fortuna, anche se le quattro ore di attesa al pronto soccorso mi hanno fatto notare una variegata umanità fatta di persone in difficoltà e operatori in affanno. Ho potuto notare la grande pazienza di infermieri, OSS, medici, tutti intenti a trovare delle soluzioni laddove non c’era neppure la possibilità di risolvere le piccole questioni. Al mio arrivo in reparto è subito seguita un’attenta visita effettuata da due dottoresse davvero brave nel mettere a proprio agio il paziente. E’ stata la mia prima esperienza da “pigiama” davanti a dei “camici” attenti e professionali. I ritmi di un ospedale sono quelli di un’istituzione totale. Sono simili a quelli di un carcere e si ripetono sempre uguali: sveglia alle sei con la misurazione della febbre, poi la pressione, colazione, visita collegiale dei medici, pranzo, parenti, flebo, misurazione della febbre, cena e nel cuore della notte gli eventuali prelievi. Tutti i giorni. Mi son reso conto che anche in questo caso sono i rumori ad avere il sopravvento. Quello dei macchinari che producono piccoli fischi, dei bip necessari per dimostrare il nostro essere “vivi”, quel rumore delle scarpe degli operatori che si presentano prontamente ad ogni chiamata, quel loro essere sempre disponibili. Da “pigiama” ho provato a comprendere il loro mondo e le loro complessità. Ho captato le loro frustrazioni, quell’essere a volte troppo soli. Ho notato la passione di tutti nell’occuparsi del paziente, e da “pigiama” questa loro attenzione l’ho vissuta in maniera positiva. Mi son reso conto di quanto sia difficile il loro mestiere, il loro affacciarsi davanti ad una vita in sospeso, affrontare anche le sconfitte, aver paura che quel bip si blocchi e con lui l’esistenza di una persona. Lo so per mestiere cosa significa “burn-out”, la predisposizione a “bruciarsi” per le sconfitte. Lo so perché anche io l’ho vissuto molte volte sulla mia pelle. Da “pigiama” ho imparato a comprendere i “camici” e ho capito la loro forza e la loro debolezza davanti ad una sanità divenuta elefantiaca e autoreferenziale, poco attenta alle esigenze dei pazienti. Mancano i medici, lo si sa da molti anni, ormai. Dare la colpa al Covid, alla precedente giunta, al fato, alla maledizione non risolve il problema. Questi medici e i loro collaboratori che operano quotidianamente con passione e convinzione devono avere risposte, devono avere certezze. Quello specialista, del quale ovviamente mi fido, lavora in reparto e dopo aver effettuato il suo orario normale di lavoro si occupa dell’intra moenia. Bloccarlo non risolve il problema e scatena ulteriori bracci di ferro che non vanno a favore del paziente. Potevo ottenere quella visita, per me come per tutti importante e necessaria, in pochi giorni. Non posso più. Devo rivolgermi all’esterno pagando ovviamente il doppio. Ho sempre pensato che gli uomini siano migliori delle architetture burocratiche però so anche che quelle alchimie astruse sono state costruite da uomini alla ricerca di una soluzione. Forse anziché passare molti anni a reingegnerizzare la struttura sarebbe stato più semplice sentire quelle donne e quegli uomini portatori di camici nella trincea quotidiana. Sono loro a gestire le vite dei “pigiami”, sono loro ad aver bisogno di attenzioni. Forse è il caso di rivedere qualche decisione utile sia per i camici che per i pigiami.