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Buttare la chiave.

Buttare la chiave.

Buttare la chiave è un concetto forte, definitivo. Solitamente chi lo afferma ha le idee molto chiare di cosa debba essere per lui  il  carcere e ha un’idea molto rozza del trattamento e della rieducazione, assolutamente in contrasto con l’articolo 27 della Costituzione. Ma, come dire, è un punto di vista legato alla libertà di pensiero ed è, su questo punto, lecito. Il problema è la coerenza. Chi ha la convinzione di un carcere esclusivamente punitivo solitamente si disinteressa della questione e della varia umanità che circola da quelle parti. Per lui tutti quelli che stazionano nei penitenziari sono dei Caini reietti da non ascoltare neppure e, soprattutto da non visitare.
Queste persone, solitamente, sono anche cristiane ma dimenticano che, per esempio, nei vangeli si ricorda che era cosa buona e giusta andare a trovare i carcerati. A meno che.
Ecco: se tu vai a far visita ad un anarchico (Cospito, per esempio) sei un radical chic comunista e vicino ai terroristi e mafiosi. Se vai a far visita ad una persona molto vicina a te (per esempio il padre della tua compagna) tutto si dissolve: la chiave non si butta e si usa, il tesserino parlamentare è utile per poter entrare nel penitenziario e, proprio per non farla troppo sporca, oltre a confabulare e abbracciare un detenuto (uno solo) passeggia in qualche sezione e promette di occuparsi della vita dei detenuti, quelli a cui aveva sciolto la chiave.
Capisco che la coerenza non è cosa per politici però, almeno sul carcere, sulla sofferenza, sulle problematiche, su chi ci vive e su chi ci lavora, almeno su questo un po’ di silenzio sarebbe stato lecito.
E invece.