Alghero, Barcellona e i colori di Mirò (La Nuova Sardegna 19 agosto 2017)
Che cos’è Barcellona per chi è di Alghero, la città sarda catalana dove tutto accade quasi sempre a la cinq de la tarda? Dove il mercato si chiama boqueria e si passeggia in una rambla che costeggia il mare?
Barcellona è un pezzo di vita, è la città che più rappresenta la catalanità, è l’orgoglio di un popolo votato alla bellezza. Ci dovete passare per forza sulla rambla se andate a Barcellona e dovete partire da Placa de Catalunya per cominciare il vostro intenso viaggio verso l’arte e la beatitudine, verso una strada che arriva al mare. Ci dovete passare a la cinq de la tarda, dove tutto appare dolce, gommoso, un po’ umido perché il mare passeggia sulla rambla, come il vento e come i ricordi. Dovete amarla Barcellona per comprenderla e non è difficile per un algherese entrare nei meandri del Barrio gotico alla ricerca di ciò che ha raccontato Idelfonso Falcones nella sua cattedrale del mare, un libro che ha regalato un’altra faccia di Barcellona.
Già, i libri. Perché poi tutto gira intorno alle parole e ai colori. L’investigatore privato Pepe Carvalho, quello che brucia certi libri ha un ufficio sulle rambals perché così ha voluto il suo creatore Manuel Vàsquez Montalban. I libri di una Barcellona nascosta nella biblioteca magica di Carlos Ruiz Zafòn e nella sua ombra del vento. I libri della libreria più bella e importante di Barcellona che si trova sulla rambla e ieri ha accolto i turisti impauriti e poco interessati alla lettura o all’acquisto di nuove parole. I libri e i colori. Quelli di Pablo Picasso che trascorse la sua adolescenza tra le calle di Barcellona, che decise di ristrutturare l’arte e rivedere tutto da una nuova prospettiva che solo quando arrivi a Barcellona capisci. Quelli di Joan Mirò catalano da sempre e per sempre che ha deciso di regalare il giallo, il rosso e il blu a questa città. Le curve dentro una città apparentemente diritta e perfetta nelle vie ma non nei palazzi e nei giardini. Le curve di Antoni Gaudì che decise di reinventare l’architettura e di raggiungere il cielo con la Sagrada famiglia, tra le curve e l’infinito. Questa era Barcellona a la cinq de la tarda del 17 agosto 2017. Questa era la città che si è sempre raccontata dai libri ai dipinti, dalle olimpiadi al calcio. Barcellona è l’essenza del bello ed è probabilmente, vista da Alghero, la città più colorata e raccontata del mondo. Dunque è stata ferita al cuore, il rosso di Mirò che si è versato su tutta la rambla quando il giallo dominava e il blu del cielo provava a raccontare una storia diversa. Dunque è stata ferita, sfregiata nel suo luogo più bello e che più rappresenta Barcellona. Quel furgone bianco che voleva arrivare seminando morte sino al Monumento a Cristoforo Colombo, si è fermato nella sua folle corsa sul mosaico del Pla de l’Os di Joan Mirò. Quando si dice il destino, il segno inconfondibile di qualcosa che va oltre Barcellona e che da Alghero resta più sfumata. Un terrorismo cattivo, perfido, certo. Un terrorismo che non ama la bellezza della rambla, non ama la storia, la fantasia, la leggenda. Non ama l’arte e non ama gli uomini che quell’arte l’hanno prodotta e quasi sempre alla ricerca di Dio. Allora dovrebbero spiegarci perché, in nome di quale Dio, di quale strana alchimia continuano ad uccidere e seminare terrore. Perché a questo punto e il segnale che lanciano sembra essere uno solo: noi odiamo il bello, odiamo l’armonia, i colori di Mirò, le curve di Gaudì, noi odiamo le parole di Montalban, odiamo Alicia Giménez Bartlett che dal 1975 si è stabilita a Barcellona, odiamo il mercado della Boqueria, odiamo la biblioteca dei libri dimenticati, odiamo chi dipinge a colori. Non a caso le loro tonache sono nere: senza nessun futuro. Per un algherese – ma non solo – questa è una ferita terribile che sanguina perché Barcellona è la vita che scorre, la lingua dolcissima cantata da Joan Manuel Serrat. Non possiamo fermare la vita a la cinq de la tarda.
Non possiamo e non dobbiamo permetterglielo.