Adele e le anime morte (La Nuova Sardegna, 9 agosto 2017)
Adele, la ragazzina di sedici anni stroncata dall’ecstasy a Genova, forse si poteva salvare. Da cosa? La domanda è chiaramente provocatoria e pone una serie di interrogativi: si poteva salvare dalla droga, dal giro dei ragazzi “bene” che nei fine settimana fanno abituale uso di queste sostanze, dal gioco perverso di provare “metanfetamine” per uno sballo da favola, dalla noia, dai selfie sorridenti o dalla gente che passava quella sera, a Genova, nell’affollata strada pedonale in una notte di calda estate? Come avrebbero dovuto agire queste folle pronte a vivere ogni istante della vita dentro il mondo virtuale, dove tutto è veloce, colorato, dove tutto funziona alla perfezione, se non utilizzando il telefono cellulare solo ed esclusivamente per fare un numero, il 118?
Ed invece tutti, ma proprio tutti, vedendo una ragazzina accasciata a terra che stava molto male, hanno continuato bellamente a passeggiare, magari con gli occhi fissi sul proprio piccolo video, attenti a ricevere e mandare cuoricini, utilizzando quello strano aggeggio per fare milioni di cose tranne che per quella che in quel momento, nel mondo reale, effettivamente serviva: una telefonata per chiedere soccorsi. Non l’ha fatta Sergio, il suo fidanzato, che conosceva benissimo la situazione visto che Adele aveva ingerito un grammo di Mdma, che corrisponde a circa cinque, sei pasticche di ecstasy. Quella telefonata non l’hanno fatta i passanti, quelli che si vantano di avere centinaia di amici e che mettono “mi piace” ad ogni parola o sospiro che gira nei social, ma sono assolutamente incapaci di utilizzare uno smartphone per chiedere soccorsi, come il buon senso suggerisce. Dalle immagini delle telecamere acquisite dalla Procura di Genova emerge questo deserto di anime intorno ad una ragazza che stava morendo, che aveva necessità di aiuto. Come se fosse finita nel deserto di Giuda, tra la polvere e il silenzio. La telefonata è partita da un netturbino che si trovava da quelle parti a svolgere il suo lavoro. Era tardi e aveva già cominciato il suo turno. Ha visto una ragazzina per terra, ha capito che c’era bisogno di aiuto, ha notato che nessuno faceva niente e ha chiamato il 118. I soccorsi si sono mossi tardivamente e questo, probabilmente, non ha permesso di salvare Adele, che ha abbandonato questo strano mondo a soli sedici anni, senza neppure comprendere quanto fosse sfacciata la solitudine. Magari qualcuno – e vorrei davvero essere smentito – vedendo la ragazzina per terra, ha utilizzato lo smartphone per ricercare le maniere di come comportarsi davanti a certi accadimenti o ha chiesto aiuto alla chat dei fedelissimi, ai forum che sanno tutto sulle droghe e le pasticche. Nessuno ha fatto quello per cui, in maniera civica e normale, dovremmo essere tutti in grado di poter fare: chiedere i soccorsi, chiedere l’aiuto di un medico. Perché è lui che si sarebbe dovuto occupare di Adele. Poi ci sono le altre domande legate a ciò che si sarebbe dovuto effettuare “prima” da quel giro di ragazzi definiti “normali” (e non si capisce davvero cosa si intende, oggi, per normalità) che spendono le loro paghette in pasticche dopo sontuosi apericena, quel giro dove tutto sembra all’apparenza tranquillo, dove l’eroina è un demone cui si deve stare alla larga ma la metanfetamina non crea dipendenza, lo dicono gli amici in chat che conoscono gente e che l’hanno letto su internet. Di Adele ci saremmo dovuti occupare anche prima, provando a dire – e a questo punto con veemenza – che certe domande hanno bisogno di qualcuno in grado di dare delle riposte e quel qualcuno non si trova dentro una chat o in un social. Avremmo dovuto spiegare che le droghe, tutte le droghe, insieme al gioco d’azzardo e all’alcool creano dipendenza. Anche se su internet trovate scritto cose diverse. Non è vero. Bisognerebbe gridarlo ai nostri ragazzi. Chi dovrebbe farlo? I genitori, i parenti, gli amici, le istituzioni? Quelle persone che vedendo Adele per terra hanno tirato dritti con il loro cellulare? Chi dovrebbe farlo? Difficile domanda. Ciò che ci restituisce questa storia è il terribile epilogo della morte di Adele e quella telefonata partita da un netturbino. Attenzione: quel netturbino era uno straniero, “una persona che ha sentito il dovere di intervenire, di fare qualcosa, uno straniero dal quale forse dovremmo imparare e al quale stringerei la mano anche se personalmente non l’ho incontrato, ma mi è bastato ascoltare la registrazione della sua telefonata” ha dichiarato il Procuratore capo Francesco Cozzi. Noi italiani, quel giorno, davanti ad Adele pensavamo ad altro.