A proposito di Patrick Zaki, odiatoti e libertà
Ci vuole sempre un discreto coraggio a parlare di carcere e raccontare ciò che accade “dentro”. Lo faccio da tempo, come interprete degli umori, dei rumori e dei silenzi che ho vissuto come operatore penitenziario all’interno delle galere italiane. Trovarmi davanti un ragazzo che all’età di 29 anni ha subito la più infame delle carcerazioni è stato devastante. Leggendo il libro di Patrick Zaki “Sogni e illusioni di libertà” mi sono reso conto che il carcere ha sempre dei lati oscuri e sconosciuti, nonostante tu pensi (e sei convinto) di conoscerli tutti. Nella chiacchierata avvenuta ad Alghero all’interno delle anteprime del Festival Genera, Patrick ha lacerato le nostre anime, le ha trasportate in un imbuto dove non sembrava ci fosse nessuna via d’uscita. La sparizione, le torture, l’impossibilità di difendersi da accuse inesistenti, il lasciarlo penzolare nelle celle come un uomo senza futuro, privato di tutto e, soprattutto, della dignità. Ha parlato per oltre un’ora in maniera concitata, appassionata, dolcissima e dura. Ha quasi urlato non tanto la propria innocenza quanto la completa estraneità a qualcosa che non aveva commesso. Ha solo descritto quanto è difficile, in Egitto, sopravvivere alle parole e come un semplice post su Facebook possa determinare anche una condanna a oltre vent’anni di galera. Patrick è stato quasi due anni in carcere senza nessuna colpa. Nessuna.
Il Festival Genera ha pubblicato l’evento, che è stato condiviso sui social da molte persone, e qualcuno ha avuto la brillante idea di commentare insultando Patrick e gli organizzatori. Sono rimasto stupefatto dalla superficialità di queste persone che, oltre a utilizzare frasi sconnesse e completamente lontane dalla realtà, non hanno poi il coraggio di presentarsi davanti a Patrick per ribadire la loro contrarietà. Le frasi (scritte in un pessimo italiano, ma su questo sorvolerei per non essere tacciato di “radical chic”) vanno dal “ma vai a cagare sull’ortica. Ti dovevano lasciare in galera” a “ma pure se regali il tuo libro verme non lo vuole nessuno verme ti avrei mandato doveri devi imparare l’educazione che tia concesso l’Italia e glitaliani”. Sorvolo sulle altre.
Ho riflettuto molto se intervenire e, da direttore artistico del festival, sono stato anche tentato di denunciare questi vili personaggi. Ho pensato, infine, che non ne valesse la pena. Le parole di Patrick, la sua voglia incommensurabile di occuparsi di diritti umani, e la mia vecchia mania di sorridere davanti alle difficoltà mi portano a sorvolare su questi “piccoli uomini” che hanno la fortuna di vivere in Italia, dove gli insulti sui social si possono utilizzare senza nessun problema. Se vivessero in Egitto rischierebbero di finire in carcere, torturati, vessati e privati di tutto. Solo per un post su Facebook. Avrebbero fatto bene a leggere il libro e ascoltare le bellissime parole di Patrick. Ma tutto nella vita non si può avere. Buon vento, Patrick, e grida sempre forte utilizzando le parole giuste per continuare a lottare a favore dei diritti umani. Compresi quelli degli odiatori. Magari un giorno potrebbero aver bisogno di lui.