A proposito di Giulia (La Nuova Sardena, 18/11/2023)
Le immagini in bianco e nero colorano i ricordi di un’Italia del 1946, lontanissima dai nostri giorni.
Tutto appare come sbiadito, impalpabile, distante, remoto, come dimenticato. Siamo cresciuti, non apparteniamo più a quel piccolo mondo antico, non ci sono più le retine della spesa fatte ad uncinetto, la vecchia Singer, nessuno dice come il marito di Delia, la protagonista di “C’è ancora domani”, il film interpretato e diretto da Paola Cortellesi “zitta tu che sei donna”.
Non c’è più nulla nel nostro mondo magico e di plastica, non c’è la polvere della strada o il sottano dove vivono delle famiglie senza neppure la possibilità di potersi giocare il futuro a dadi. Noi siamo cresciuti, ci siamo evoluti, le donne non si possono più lamentare della paga inferiore rispetto al salario del maschio, nessuno in questo presente insudicia la dignità delle donne e neppure le inopportuna, le schiaffeggia, le deride e, infine, le uccide. Poi, quando le immagini di quel film indugiano sulla violenza e la cattiveria di un credibile e bravissimo Valerio Mastrandrea, quando quel marito gretto, meschino, ignorante, gelido e squallido, quando quasi chiudi gli occhi davanti alla sua violenza gratuita, quando quasi, da uomo, ti vergogni, di ciò che le immagini ti stanno proiettando, ecco che allora ti svegli da quel tuo torpore falso e costruito sui sogni e cominci lucidamente a riflettere e ti chiarisci molti dubbi che divengono certezze: tutto questo esiste ancora, è dentro molte delle nostre famiglie, tutto questo fa parte di un modo di ragionare di certi padri e, purtroppo, di certi figli. Allora capisci e capisci bene che Paola Cortellesi con quel film bellissimo, intenso, puro, semplice e maledetto vuole scoperchiare il mondo magico del presente, vuole costringerci a scrutare quel pozzo di cattiveria che parte da un passato remoto e giunge, quasi intatto, fino ai giorni nostri. Ogni giorno continuiamo a sentire di uomini che maltrattano le donne, le umiliano, si muovono come il marito energumeno del film di Cortellesi. Quelle donne per molto, troppo tempo non cantano, non sorridono, sono costrette a vivere a bocca chiusa. Non è solo un lungometraggio, non è solo un prodotto scandalistico di alcuni giornali che vorrebbero distruggere la famiglia tradizionale. Gli schiaffi, i colpi, lo sgomento, quei silenzi pieni di lacrime e dignità camminano sul film e giungono, purtroppo intatte, fino ai giorni nostri. Eppure quelle bocche chiuse avevano, una domenica di giugno, imbracciato un sogno bellissimo e semplice. Quelle donne con le case dove si aprivano le finestre di dolore erano uscite per strada, si erano recate in un seggio elettorale e per la prima volta avevano votato e scelto la democrazia. Quelle bocche chiuse avevano sperato e sognato che tutto il loro sacrificio, tutto il loro silenzio sarebbe servito alle generazione future affinché i maschi la finissero di comportarsi come i padroni. Se c’è una cosa di estremamente significativo nel film di Paola Cortellesi è questa idea che il potere del voto possa scardinare l’indifferenza. Ed è una scelta potente, immensa, bellissima. E’a quel punto che tutto si appanna per colpa delle lacrime liberatorie che cominciano ad illuminare gli occhi e la coscienza. Solo allora capiamo che le bocche chiuse possono diventare potenti e necessarie se cominciano a cantare tutte insieme. Questo film dovrebbe essere proposto in tutte le nostre scuole, perché sono immagini pedagogicamente necessarie, più di tanti libri e tante parole. Sarebbe bello che i dirigenti scolastici riuscissero a far ragionare sulla violenza, sull’attualità di quanto accade intorno a noi, nei nostri condomini, nei nostri quartieri. Il film comincia con uno schiaffo, un semplice e lurido schiaffo che costruisce la giornata di Delia, la protagonista, e la disegna in bianco e nero. Chiedo ai genitori e ai pedagogisti di guardare e far guardare questo piccolo capolavoro. Nessuna donna può restare, nel 2023, a bocca chiusa.