Credo non si possa e non si debba morire a diciannove anni. Per nessun motivo. Ci sono, è vero, quegli strani destini che si intersecano tra una vita appena nata e una maledetta strada: gli incidenti stradali hanno, purtroppo, un’incidenza molto alta tra i giovani. Ma quello che è successo oggi è davvero inumano. Al netto di ciò che accadrà nei prossimi giorni, alle congetture, le testimonianze, le verità che potranno affiorare, vorrei solo dire che ciò che è accaduto a Orune, oggi, ad un ragazzo di diciannove anni, non ha molte risposte tra quelle razionali e giustificabili (posto che un omicidio abbia una minima giustificazione). Quale potrebbe essere la molla che fatto scattare il grilletto, quale odio, quale stupido motivo può portare a lacerare una vita umana, quella di un giovane studente, in attesa dell’autobus per recarsi a scuola? Questo sangue che non si rapprende, in un paese divorato e arrotolato nei brutti ricordi. Questa forza che distrugge e strazia, squarta le anime inquiete. Fermiamoci, per un attimo e proviamo a chiederci: “Noi, in quale casella dello scacchiere ci troviamo?” Ma, soprattutto: siamo davvero sicuri che quell’orrore è così lontano e non ci riguarda?
Questo rito pagano, di voler risolvere senza parole, senza poter guardare negli occhi il tuo interlocutore, è da persone vigliacche e meschine. Non sanno parlare, hanno imparato a trovare soluzioni spicce, senza contraddittorio. Quale futuro può avere questo monologo basato sulla mattanza? E non ci venite a dire che occorre analizzare, ponderare, scrutare l’onore e la “balentia”. Perché ce la dovete spiegare la forza ed il coraggio di sparare a bruciapelo ad un ragazzino di diciannove anni. Ma a spiegarlo devono essere quelli che hanno visto. Non vale più il gioco del silenzio. Non può valere. Sappiatelo: è tempo di usare le parole e di usarle con il metro giusto.