Tutti i più grandi magistrati ed osservatori del fenomeno criminoso sostengono che la mafia segue i “piccioli” e in Sardegna di soldi e di grandi interessi ve ne sono pochi. Questo ha comportato, negli anni, a scegliere l’isola come sede per molti detenuti sottoposti al regime di 41 bis, innescando molte polemiche sulla possibilità che in questo modo le famiglie mafiose potessero radicarsi nel territorio. Manca un osservatorio autorevole per l’analisi dei flussi della criminalità sull’isola, certo è che alcuni episodi di minacce e intimidazioni hanno sicuramente una matrice “mafiosa” che ci conduce a qualche considerazione.
L’episodio più grave è quello accaduto a Silanus, un piccolo paese dell’ entroterra sardo dove appare davvero impossibile pensare a criminalità organizzata. L’ex sindaco, Luigi Morittu, è stato protagonista di un attacco terribile ed inquietante dai risvolti ancora tutti da chiarire. Certo è che i suoi presunti aggressori non erano sardi e Morittu lo ribadisce anche nell’intervista concessa alla Nuova Sardegna: “parlavano in italiano, ma era chiaramente l’italiano di qualcuno proveniente dai paesi dell’est”.
La matrice, stando a queste premesse, si sposta verso altre criminalità e verso altre mafie non meno feroci di quella nostrana. Gli scenari si sono modificati e gli appetiti sono probabilmente diversi. E’ sempre una questione di “piccioli” ma è pur vero che questi piccoli episodi “allargano il quadro deviante” e ci pongono molte domande. Esiste – ed è acclarato – la mafia nigeriana, dedita alla tratta delle schiave, alla prostituzione allo spaccio. A Cagliari il territorio è diviso tra i nostrani e molti personaggi dell’est. La morfologia criminale si sta modificando e non sembra voglia limitarsi al solo spaccio di droga. C’è dell’altro ed è, forse, la voglia di emergere con la forza, la ferocia, la crudeltà contro persone apparentemente inermi.
L’episodio di Silanus è emblematico e non può essere considerato un semplice atto criminale nei confronti, peraltro, di una persona tranquilla e dedita al suo lavoro. Non sembra delinearsi una matrice “politica” anche perché Morittu è stato sindaco del suo paese ma sicuramente non al centro di nessun appetito legato, per esempio, a degli appalti.
Molte cose non quadrano però il modus operandi degli aggressori è sicuramente sproporzionato: cospargerlo di benzina è un segnale inequivocabile, un segno tangibile di riconoscimento: noi ci siamo, noi vogliamo qualcosa. Di contro, l’episodio di Olbia, le scritte intimidatorie contro la CGIL è un atto stupido, cattivo, costruito da delle persone semplicemente “arrabbiate”, disinformate, impasticcate da informazioni nocive e fuorvianti.
C’è da chiedersi: cosa hanno in comune questi fatti apparentemente slegati tra loro? E cosa hanno in comune le battaglie delle baby gang ormai divenute un classico dei fine settimana anche nelle nostre città metropolitane? Il fallimento sociale, la mancanza di antenne ben tese a comprendere le urla sotto traccia di chi non ha un futuro. Quel vivere “veloci”, quel voler ottenere tutto e subito, non avere dimestichezza con il confronto. Minacciare la CGIL è come non voler accettare le istituzioni. Minacciare un cittadino inerme è non poter avere nessun’altra forma di dialogo. La criminalità si sta evolvendo ed è una pessima notizia. Lo Stato non può abbandonare i cittadini di un’isola che si risveglia sempre più povera, più triste e, forse, più sola. Servirebbe, a questo punto, un bel dibattito perché le piccole infiltrazioni si stanno radicando e vogliono questo territorio anche se povero. Lo vogliono perché da altre parti non hanno trovato spazio.
Questo è un buon punto di riflessione.
Questo articolo è stato scritto il giovedì, Giugno 23rd, 2022 at 12:10
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Tags: criminalità, mafia
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