Si fa un gran parlare del cambio scarpe della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni così come, nelle settimane scorse, si puntò il dito contro suo padre e il passato del genitore non proprio cristallino. Se vivessimo in un paese civile alle notizie del cambio scarpe e, soprattutto a quella relativa al padre con dei problemi giudiziari risponderemmo sicuri: e allora? Non solo perché le colpe dei padri non devono ricadere sui figli ma anche e soprattutto perché quella non è una notizia utile per giudicare una persona (figuriamoci quella sulla scarpe).
Il contatto con il carcere è un’esperienza terribile che segna chiunque e le stigmate del carcerato te le porti sempre, come se la tua colpa non avesse mai fine. A nulla valgono le operazioni costruite per superare l’odio e il rancore. Le persone giungono sempre alla medesima conclusione: “se è stato in carcere rimane comunque un delinquente”. E se Giorgia Meloni non ha nessuna colpa sulle scelte del padre (padre che, tra l’altro, non ha mai frequentato) nessun minore dovrebbe soffrire per un genitore che è passato nelle patrie galere.
I colloqui con i detenuti sono un passaggio fondamentale nella vita di un recluso: attesi, sognati, sperati, perché quel colloquio riannoda il contatto con la propria famiglia. Eppure vedere dei bambini che varcano il carcere per salutare il genitore fa sempre un certo effetto, sembra di sentire quel rumore sgradevole di gesso sulla lavagna: una sensazione fastidiosa e stonata. Ho conosciuto molti detenuti che preferivano non incontrare ai colloqui i figli minori. Una scelta difficile, sofferta, dura. I bambini che visitano il proprio padre e la propria madre, non si rendono conto del “setting” dove sono costretti a trascorrere il brevissimo tempo in compagnia di chi vorrebbero avere ogni momento della propria vita. I confronti sono pochi, di norma quattro al mese e durano un’ora. E’ come dover squadernare tutte le emozioni in pochi minuti, raccontare storie immense che diventano irrimediabilmente piccoli riassunti.
Con il tempo molti istituti penitenziari si sono attrezzati di “aree verdi” e seppure importantissime e necessarie non risolvono la continuità del contatto tra detenuto e familiari. Quando le persone conoscono meglio certi passaggi “carcerari” diventano più disposte all’ascolto e alla comprensione, divengono meno critiche nei confronti di chi ha sbagliato e sta scontando la giusta condanna, si pongono in maniera costruttiva e possibilista.
Il carcere è fatto per gli essere umani e deve rimanere una parentesi personale e dolorosa, ma sempre una parentesi. Utilizzare in maniera poco oggettiva (e, a volte, in malafede) le sofferenze altrui per catapultarle nella quotidianità è un errore terribile e inutile.
Se un ex detenuto cerca un lavoro e ha davvero voglia, oltre che necessità, che senso ha inserire nel curriculum “è stato in carcere?”. Questo voler attribuire la patente di “criminale” ad un autore di reato anche quando la pena è estinta innesca un processo in grado di trasformare l’autore di un reato in un delinquente cronico, detenuto per sempre, anche oltre il carcere.
Il padre di Giorgia Meloni ha commesso un reato, ha subito una condanna e ha espiato la sua pena. Non sappiamo neppure dove e in che modo ha incontrato il carcere. Non sappiamo come è riuscito a ritornare all’interno della società. Sappiamo che ha abbandonato la moglie, non ha avuto più contatti con i figli e ha fatto delle scelte che non includevano la propria famiglia. Non è importante comprendere se questo sia giusto o sbagliato perché sono scelte personali: dolorose, sedimentate negli anni, difficile da comprendere in poco tempo. Sappiamo però che quella famiglia (e, quindi, qualunque famiglia che abbia avuto esperienza con il carcere) ha dovuto fare i conti con una realtà complessa; si è dovuta ridisegnare gli spazi sociali, ha provato a condurre un’esistenza diversa tenendo conto delle scelte della controparte. Quella famiglia ha il diritto di essere giudicata non perché non ha avuto più contatti con il padre ma per le sue esperienze successive. Speculare su questo è indicibile, frutto di quel voler a tutti i costi trovare qualcosa nei confronti del potente o famoso di turno e offuscarne l’immagine.
Si dovrebbe, invece, ragionare sui temi che Giorgia Meloni ha evidenziato durante tutta la sua campagna elettorale e provare a focalizzarci sui suoi tre pilastri: Dio, patria e famiglia suggerendo alla Presidente del Consiglio che tutti gli uomini hanno un Dio e ogni divinità ha la medesima dignità (d’altronde i cristiani, i musulmani e gli ebrei venerano il medesimo Dio con sfumature diverse) la patria è il luogo inclusivo dove tutti devono trovare approdo e la famiglia è un concetto bellissimo ma variegato: a volte quella biologica non è tra le migliori e molte persone si trovano meglio in nuclei acquisti o molto colorati.
Di questo avremmo dovuto discutere con Giorgia Meloni e non lo abbiamo fatto. Mica delle cambio scarpe o di un genitore biologico completamente assente.
La sinistra, (quella che ha stigmatizzato la storia del padre e quella che sorriso al cambio delle scarpe) a me pare, ha perso ancora una volta un’occasione.
Questo articolo è stato scritto il lunedì, Ottobre 24th, 2022 at 17:51
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