Editoriale apparso sulla Nuova Sardegna il 13 maggio 2016
Osservando da lontano rimangono comunque le macerie. Che non sono necessariamente di un uomo o di quanto ha detto e ha fatto. Sono il risultato di scelte personali che hanno investito anche la vita politica. Renato Soru aveva avuto una visione.
Raccoglieva sogni e desideri.
Ci aveva scommesso su quei sogni. Aveva quotato in borsa qualcosa di assolutamente virtuale: la sua azienda. E aveva funzionato. Partiva da lontano, da una parola arcaica che trasportava i sardi al centro della terra. Della loro terra.
Tiscali rappresentava l’ignoto e la magia, la leggenda di un popolo che guardava tutti dall’alto, da foro di una grande grotta dove filtrava una luce immensa.
Poi quella scommessa che partiva da Video online, quel browser che faceva girare i nostri computer, quel rumore inconfondibile rappresentato dal contatto tra la linea telefonica e una grotta al centro della terra divenne storia quotidiana: internet.
Cominciò così l’avventura pubblica di Renato Soru e cominciò nel 2000, davanti alla corte di D’Alema e Veltroni, di quella “cosa” morettiana divenuta Partito della Sinistra, poi democratici di sinistra e infine, più semplicemente, partito democratico.
I vecchi comunisti.
Quelli della “questione morale” quelli – sempre per stare sulla metafora di Nanni Moretti – “uguali ma diversi dagli altri partiti”, quelli che avevano la necessità di uno svecchiamento. Nessuno doveva più studiare alle Frattocchie, era importante cavalcare il futuro con una nuova classe dirigente. Su questo segmento vennero effettuate molte scelte tra cui, in Sardegna, quella di Renato Soru.
Mister Tiscali vinse le elezioni del 2004 e il suo progetto Sardegna comincia a prendere corpo: la legge “salvacoste”, la famosa tassa sul “lusso” invisa da Briatore, il master and back per gli studenti sardi. Il suo modo austero di governare, quelle parole molto dosate, quel suo essere silente e forte portò Soru a divenire quasi un’icona della nuova sinistra.
Poi subentrò la politica.
Quel gioco sottile delle alleanze, quel dover mediare tra le varie correnti, l’essere costretto a battere e levare, l’intestardirsi su progetti politici che erano fuori dalla politica.
Fu questo il suo grande errore.
La sconfitta con Cappellacci venne vissuta con disamore totale verso la politica e l’incapacità di essere opposizione. Per un partito nato dalle ceneri della più grande compagine d’opposizione eruopea questo fu, indubbiamente, un grande problema. Il voler ritornare a dispetto di tutto e di tutti con la convinzione di essere ancora il visionario dei primi anni duemila. Quel voler sfidare la politica a tutti i costi. Quella candidatura alle europee vinta comunque e vinta fuori dalla Sardegna, sopratutto con i voti della Sicilia. Quel voler mostrare a tutti i costi uno scalpo che non avrebbe poi usato.
Renato Soru non è mai stato un comprimario.
Non se lo poteva permettere. Non era suo costume vivere all’opposizione o dentro un parlamento europeo svuotato di qualsiasi potere reale. Le sue ripetute assenze, il suo grande disimpegno in Europa è la parabola di un uomo che non è riuscito a convivere con la politica.
Le macerie che si vedono guardando da lontano sono il risultato di questa grandissima miopia e quello di non aver compreso che quel partito, nato da ideali forti e anche contraddittori poneva, con il suo vecchio segretario Enrico Berlinguer, un punto imprescindibile: la questione morale da non confondere con la legalità.
La condanna in primo grado a Renato Soru ci pone davanti a questo grande tema: ci interessa ancora l’etica nella politica? E’ davvero inutile la scelta oculata di una nuova classe dirigente?
Il grande sogno di Soru, quello di Internet si è avverato.
Dovremmo però ritornare alle parole a ai gesti e non restare nel virtuale. Le macerie sono della politica, di questa politica tutta da ripensare.
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Le macerie politiche di Renato Soru | Giampaolo Cassitta – Giampaolo Cassitta