Vi scrivo da una prigione di questo Stato. Sono dentro perché ho commesso un delitto. E di questi tempi, fateci caso, siamo rimasti in pochi ad ammettere i propri errori. La galera me la sono meritata tutta. Non ho chiesto sconti e non ho chiesto scorciatoie giuridiche. E’ una questione di dignità. Le cazzate, diceva mio padre, si pagano sempre. Quindi sono colpevole. Qui dentro lo siamo in tanti anche se ognuno preferisce ammettere certe cose e non altre. Ne ho sentite in quindici anni di galera di storie, di racconti, di puntualizzazioni, di visioni di verità diverse da quelle stabilite dal Tribunale. Cazzate appunto. E le cazzate si pagano. Vi scrivo perché anche da queste parti arriva Natale. Che non è una festa triste visto che qui, in galera, ogni giorno è triste, ogni giorno sono rabbia e dolore, silenzi ed urla. Una giornata in carcere dura le stesse ore della vostra, non credete a chi dice che non passa mai. Cazzate. Il problema è che la nostra è riempita male e non siamo noi a decidere come passare il tempo: è il tempo che si prende la nostra vita e la appiattisce. Vi scrivo perché io non ho mai avuto un permesso premio, non ho avuto liberazione anticipata, non ho avuto niente. Sono, per dirla come la dicono gli operatori, un soggetto inaffidabile che mal sopporta la disciplina. Come se fosse facile. Provate anche voi ad essere puniti anche se avete un barlume di ragione, provate a vivere in una cella di nove metri con altre due persone tutto il giorno, dove l’unica distrazione che ci regala il tempo è la televisione accesa perennemente sulla vita in diretta o su altre trasmissioni che ci raccontano un mondo che non riesco più a comprendere. Io, per esempio, sono finito in falera che c’erano ancora le lire e non ho mai toccato, con le mie mani, gli euro. Una volta un poliziotto me li ha fatti vedere, ma non è la stessa cosa. Faccio la spesa con una moneta che non conosco. Faccio la spesa con dei soldi che non capisco. Nel 1999 c’erano i telefonini ma servivano, appunto, per telefonare. Oggi, dalla tv apprendo che si usa internet anche con un cellulare che si chiama “smart-phone”; ecco, io un telefono del genere non l’ho mai visto, se non in televisione. Facciamo una vita virtuale, sfioriamo le cose e molte volte le immaginiamo. Quando qualcuno rientra dal permesso ci racconta le sue scorribande sessuali con mogli amanti e fidanzate. Cazzate. La verità è che dopo dieci anni, quando si esce da questo schifo che ti annienta, si ha paura anche di attraversare la strada. Questo volevo dire e soprattutto volevo chiedervi una cosa, piccola per voi ma fondamentale per me: non ho una mail, non ho internet perché in carcere è vietato. Siamo rimasti gli unici che ancora si mandano gli auguri per cartolina o per lettera. Io neppure quelli. Dicono che quando sei dentro tutti si ricordano di te. Cazzate. Qui vengono i parlamentari solo per salutare i loro amici cagasotto. Insomma volevo che questa lettera fosse pubblicata e, magari, qualcuno, per un attimo, durante queste feste, pensa a quelli che la galera la fanno per davvero. Chiusi, senza nessuno che li aiuti, senza costruirsi sotterfugi. Io la mia galera la merito tutta e non è vero che Natale in galera è un giorno uguale agli altri. Cazzate. Vi ho raccontato una balla perché mica posso dire a tutti voi che anche noi mangiamo il panettone ma che, a differenza vostra, lo inzuppiamo con le nostre lacrime? Non sarebbe bello raccontarvelo, anche voi avete i vostri problemi. Ecco, mi basta la vostra piccola attenzione e un breve saluto. Il mio nome? E’ simile a migliaia di nomi che oggi, in carcere non andranno in permesso, non smanetteranno su internet, non guarderanno sky e non faranno il cenone. Vi chiedo solo una cosa, a nome di tutti noi: guardate il Natale da un altro punto di vista, osservatelo dall’angolo della possibilità. Quel poco che avete è tutto quello che a noi manca. Tutto. E quando sentirete qualcuno che dice: “in fondo in galera si sta bene”, vi prego guardatelo bene negli occhi e, semplicemente rispondetegli: “cazzate”. Buon Natale a tutti voi liberi di festeggiare questa festa che da noi, obbligatoriamente passa e il suo rumore si fa sentire. Il natale, in carcere è una scatola vuota senza regali. E ritorna, come ogni giorno, il rumore sordo delle chiavi e non come nel vostro mondo, per noi il mondo degli altri, dove venite accompagnati dal suono delle campane che qui dentro non si sentono.
22:18 , 22 Dicembre 2014
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