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Il giubileo dei carcerati

Il giubileo dei carcerati

Tra i tanti pellegrini di questo anno santo voluto fortemente da Francesco sono giunti a Roma anche i detenuti. Mille persone (alcune dalla Sardegna) che hanno assistito alla Messa all’interno della Basilisca di San Pietro e hanno ascoltato, in silenzio, le parole del Papa. Che sono molto vicine a quelle più laiche di Marco Pannella e alla sua richiesta – finora non ascoltata – di un’amnistia per i detenuti italiani.
Il carcere è il luogo del silenzio e della disperazione ma tutti, ha ricordato il Papa, abbiamo la possibilità di sbagliare. Ed è vero. Infrangere la legge, commettere un delitto è, a volte, una strada tortuosa ma che non è sempre stata scelta da chi quel delitto lo compie. Espiare la pena è giusto, lecito e giuridicamente ineccepibile. Non può, nella maniera più assoluta essere messo in discussione. Possiamo però cominciare ad intravvedere soluzioni diverse al carcere se le pene, per esempio, non sono così gravi. Ha detto Papa Francesco: “A volte, una certa ipocrisia spinge a vedere in voi solo delle persone per le quali l’unica via è quella del carcere. Non si pensa alla possibilità di cambiare vita, c’è poca fiducia nella riabilitazione”. Ma così, continua il pontefice, “si dimentica che tutti siamo peccatori e, spesso, siamo anche prigionieri senza rendercene conto”.
Negli anni gli sforzi maggiori degli operatori penitenziari europei sono stati rivolti alla ricerca di un sistema che superasse il carcere ritenendo che il penitenziario, la chiusura, l’impossibilità di contatti con il mondo esterno, è deleterio e non aiuta a comprendere anche la gravità del reato commesso. Chi sbaglia deve pagare ma deve, necessariamente, comprendere l’errore commesso. Non ha senso infliggere dieci anni di carcere e lasciare quel detenuto, quell’uomo dentro il rettangolo della propria cella, in attesa che il tempo inesorabilmente scorra. Questo modo di vedere le cose è tipico di chi, dopo aver ascoltato la notizia di un delitto, senza neppure conoscerne le dinamiche afferma che “bisogna buttare la chiave”. L’espressione è spesso usata per chiudere qualsiasi apertura nei confronti di chi ha commesso un grave errore, ma quell’espressione è l’antitesi al concetto di “giustizia”. Chi continua a ragionare in questo modo non vuole che quella persona possa effettuare un percorso diverso, possa provare a rimettersi in gioco. Eppure, come ha ricordato anche il Pontefice, tutti abbiamo la possibilità di sbagliare. Il carcere dovrebbe essere l’ultimo cancello da varcare per chi ha commesso un delitto. Dovrebbe essere destinato solo a certi reati mentre si dovrebbe, come nel mondo minorile, aumentare la “messa alla prova” nei confronti di chi può dimostrare di essere in grado di riparare al danno subito. Sono percorsi difficili che trovano, da sempre, l’opposizione di molti che sono sempre pronti a chiedere la pena di morte anche per il furto di un motorino, salvo ricredersi quando il carcere sfiora qualcuno vicino a loro e riescono, incredibilmente, dopo aver richiesto a gran voce la pena di morte per tutti, a dire quasi sconsolati: “ma non ha mica ucciso nessuno”. C’è poi l’ultima categoria, quella che “i politici son tutti ladri”, dimenticandosi che i politici sono i nostri rappresentanti e che, dunque, i ladri (visto che sono tutti tutti) li abbiamo scelti noi. Il carcere è uno dei luoghi peggiori dove trascorrere i giorni della nostra esistenza. Non si deve credere che sia semplice convivere con altre persone che non si sono “scelte”, all’interno della stessa cella. Non è semplice dimostrare di voler riprovarci e non è facile rimettersi in gioco. Il giubileo di oggi segna solo un punto fondamentale nel cammino quotidiano: si è occupato di un problema importante, ingombrante, un problema che tutti tendiamo a nascondere e sottovalutare. E’ stato bello vedere che, almeno per un giorno, quegli uomini dimenticati, quegli scarti derisi siano saliti sull’altare, abbiano servito la messa come ministranti, hanno preparato le ostie e, alla fine, si sono mescolati tra la gente, uomini fra uomini, a partecipare alla marcia promossa dai radicali per la richiesta di un’amnistia. Il carcere è un brutto luogo, respirare aria di libertà aiuta. La richiesta di amnistia e indulto dovrebbe essere presa in considerazione dal Parlamento: si discuta seriamente di carcere. Si discuta, soprattutto, di provare ad eliminare la necessità del carcere per alcuni reati: non sempre stare chiusi senza sentire il rumore della vita aiuta. Molte volte peggiora soltanto le cose e i risultati potrebbero, un domani, ritorcerci contro. Continuare ad urlare “buttate la chiave” ci porta ad essere prigionieri delle nostre paure e non aiuta a cercare soluzioni condivise. Pensiamoci.

23:19 , 6 Novembre 2016 Commenti disabilitati su Il giubileo dei carcerati