La povertà non è stata abolita e, nel Sud Italia, ha raggiunto un picco storico. In queste aree, quasi sei milioni di persone, tra cui un milione e trecentomila minori, vivono in condizioni di disagio economico. La Sardegna, con un tasso di povertà del 15,3%, si colloca al settimo posto tra le regioni italiane, una posizione di cui certo non si può andare fieri. Le cause sono molteplici: dall’abbandono precoce degli studi al lavoro intermittente e mal retribuito, passando per il peso delle nascite e l’alto costo degli affitti. Siamo sempre più poveri e fragili.
Le donne, in particolare, sono tra le più esposte e, spesso, sono loro a cercare sostegno per la famiglia, come riportato da Caritas Sardegna. Il ricorso a contratti a termine e al lavoro part-time rappresenta un altro dei principali fattori che contribuiscono a una precarietà crescente. I giovani, anche quelli con alti livelli di istruzione, pagano il prezzo più elevato e, sempre più frequentemente, scelgono di lasciare il Sud per il Centro-Nord. In pochi anni, il tasso di migrazione è triplicato, passando dal 9% al 34%. I figli sembrano ormai seguire le rotte dei nonni: motivazioni diverse, stessa destinazione. Un’emigrazione che oggi torna a essere una scelta economica.
Nella nostra regione, le prospettive per una giovane coppia sono sempre più incerte, mentre le opportunità si assottigliano e la saracinesca sembra abbassarsi ogni giorno fino a chiudersi definitivamente. La Caritas resta un’ancora di salvezza, ma rivolgersi a loro non è facile: significa barattare parte della propria dignità. L’eliminazione del reddito di cittadinanza, sostituito con l’assegno di inclusione, non ha certo risolto la situazione.
Un tempo, la fila per un pasto era riservata agli ultimi, agli emarginati, ai senzatetto. Oggi, anche disoccupati, inoccupati cronici e pensionati si avvicinano silenziosamente a quella stessa fila. È un problema noto, discusso nei convegni ma ignorato nelle sale della politica, dove si dovrebbero prendere decisioni concrete. Combattere la povertà non sembra essere una priorità di questo governo, e lo stesso vale per il contrasto al gioco d’azzardo online, dove minorenni e giovani accedono liberamente, sperperando i pochi soldi nella speranza di una svolta fortunata.
Tutti vogliono vincere, non partecipare, e tra giochi online e macchinette nella nostra regione, dove la povertà sfiora il 16%, si bruciano, ogni anno 1,4 miliardi di euro, secondo uno studio dell’Agenzia delle Dogane. Molti sardi sono attratti da bingo, macchinette, Superenalotto, Lotto, lotterie e gratta e vinci. Le slot machine continuano a fare bella mostra in molti bar delle nostre città, anche se ultimamente alcuni esercenti le stanno dismettendo. Giocare può significare anche vincere, ma da che mondo è mondo, il banco si porta a casa quasi sempre tutto. La ludopatia è un fenomeno terribile che distrugge vite, aggredendo e divorando persone disperate e fragili, quelle che non riescono ad arrivare alla fine del mese.
Negli ultimi anni, in Sardegna, le spese destinate ai “gratta e vinci” sono aumentate di quasi il 70%. Numeri impressionanti, che dovrebbero destare seria preoccupazione, anche perché il rischio di diventare ludopatici è altissimo. Si diventa dipendenti come per la droga e si finisce in un tunnel da cui la luce, giorno dopo giorno, si allontana lentamente.
Ci sono persone che acquistano tagliandi di gratta e vinci in maniera compulsiva, inseguendo un futuro da “turista per sempre” e vivendo purtroppo nella solitudine e nella disperazione quotidiana. Povertà e azzardo camminano sullo stesso binario, ed è un binario morto. Tutti sono consapevoli che il futuro è segnato; tuttavia, nessuno sembra disposto a iniziare a porre rimedio al fenomeno. Servirebbe maggiore ascolto per queste persone, ma in tempi di tagli lineari al welfare, pensare di investire contro la povertà appare un lusso che sembra non ci si possa permettere. Nessuno vuole scommettere sulle persone. Questa è la grande sconfitta.